Sulla linea che unisce scuola e lavoro

Una missione chiara per il Paese: investire nella crescita delle competenze attraverso un’offerta formativa che sia in grado di rispondere al mercato del lavoro. Diamoci da fare.

Direttore Generale Federmanager
Finalmente parliamo di futuro, o almeno dovremmo. Abbiamo a disposizione risorse economiche importanti che dobbiamo decidere, come affermato dall’ex governatore della Bce, Mario Draghi, se convertire in un debito buono o cattivo. La scelta da compiere è semplice: spendere continuando a difendere lo status quo, disperdendo le risorse e cercando di accontentare più persone possibile per acquisire consenso, oppure investire nel futuro, sui nostri figli e nipoti.

In altre parole, adottare un approccio conservativo, più sicuro ma inesorabilmente declinante, oppure virare verso nuovi lidi, correndo qualche rischio in più ma guardando oltre, con una strategia sostenuta da investimenti in infrastrutture materiali e immateriali su cui far viaggiare velocemente persone, merci e dati. Intendo una strategia basata su una nuova visione di politica industriale che direzioni le nostre tradizionali capacità riconosciute in tutto il mondo sui binari dell’innovazione e dello sviluppo sostenibile, mettendo al primo posto il tema delle competenze.

Noi stiamo evidentemente su questa seconda linea, come dovrebbe essere per chiunque abbia a cuore le sorti del Paese.

Affrontare il tema delle competenze non è agevole senza quella visione, senza un disegno organico di ciò che vogliamo diventare.

Dobbiamo innanzitutto … imparare a imparare. Questo vale per tutti, giovani e meno giovani. Dobbiamo costruire le competenze per i lavoratori che verranno, senza perdere di vista chi oggi è in servizio, a prescindere dall’età anagrafica. Dobbiamo creare e salvaguardare lavoratori, non creare assistiti.
Vantiamo ottime strutture formative, ma occorre ridisegnare i percorsi didattici. Troppo pochi gli Its rispetto alle necessità di un Paese a trazione manifatturiera; prestigiose università che valgono molto più di quello che i ranking dicono a livello internazionale. Anche i programmi post universitari sono da riprogettare: molti lo stanno già facendo per essere in linea con le nuove necessità e più competitivi rispetto all’offerta ancora vincente dei paesi anglosassoni. Un’esperienza all’estero è salutare, l’importante però è saper offrire le opportunità di rientro. Cosa che l’Italia oggi non fa. Gli incentivi vanno bene ma non bastano, serve una scossa nella direzione della crescita, non solo del Pil, ma del nostro apparato produttivo.

Vedere laureati, che già sono pochi, faticare più di un diplomato a trovare un posto di lavoro e adattarsi a quello che si presenta loro e che spesso non ha attinenza con il percorso di studi svolto, lascia grande amarezza oltre che rappresentare uno spreco. Un Paese cresce se cresce il livello delle capacità delle persone che esso esprime e se c’è un sistema produttivo pronto ad accoglierle nel mercato del lavoro. In questo modo si offrono opportunità vere per chi si è sacrificato nello studio e intende restituire il suo contributo alla collettività.
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