Editoriale Filo Diretto Dirigenti Dicembre '23

In una trasmissione recentemente andata in onda su una importante rete televisiva una giornalista interrogava un imprenditore turistico veneto sul problema della carenza di personale di tante imprese turistiche, chiedendone i motivi.

di Massimo Melega

In una trasmissione recentemente andata in onda su una importante rete televisiva una giornalista interrogava un imprenditore turistico veneto sul problema della carenza di personale di tante imprese turistiche, chiedendone i motivi.

L’imprenditore rispondeva che la ragione principale per cui tanti giovani stentano ad avvicinarsi al mondo del lavoro (si parlava di retribuzioni lorde tra i 1650 ed i 1950 €/mese) è il “cambiamento dei valori”. Testualmente, l’imprenditore affermava che oggi tanti giovani preferiscono avere più tempo libero e meno denaro (?). Quindi la richiesta è: sabato e domenica (giornate di grande lavoro per le imprese turistiche) liberi ed orari “facili”.

Il rimedio proposto dall’intervistato? Intervenire sui contratti, avvicinando le regole al nuovo “profilo valoriale”.
 
Semplice, no? Beh, non mi pare.

Anzitutto, abbassare la retribuzione a fronte di impegni ridotti avvicinerebbe ulteriormente a quella soglia che rende le varie forme di assistenza erogate dallo stato (esempio da letteratura: il reddito di cittadinanza) un’attraente alternativa, più o meno duratura.

E poi, già oggi tante offerte di lavoro prevedono turni ridotti nel numero di ore con adeguati intervalli di riposo, eppure… il problema c’è e non si risolve…

Cerchiamo tuttavia di capire di quale problema si tratta, per poterne delineare i rimedi.

Che cos’è questo “nuovo assetto valoriale”?

Da cosa deriva questa ricerca spasmodica del “tempo libero” (frequentemente ricondotto all’aperitivo, alla nottata con gli amici, all’escursione abituale…)?
Libero da cosa?
Massimo Melega, Presidente Federmanager Bologna - Ferrara - Ravenna

Massimo Melega, Presidente Federmanager Bologna - Ferrara - Ravenna

Il lavoro viene percepito come un ostacolo fastidioso e lo si affronta con un solo obiettivo: toglierselo dai piedi il prima possibile, non importa come.

E’ quindi solamente un mezzo per procurarsi il denaro sufficiente al sostentamento e per il divertimento, oppure è anche qualcosa di più alto, di più “umano”?

Di recente gli archeologi hanno studiato i resti di un nostro progenitore che – mi piace pensare – sposta ancora più indietro nel tempo (50.000 anni fa) la “data di nascita” dell’umanità in quanto tale, quel momento nel quale un primate molto simile ad una scimmia diventava essere umano. Dall’analisi dei resti, gli archeologi hanno determinato: l’età (40 anni, un individuo molto “anziano” per l’epoca: come dire 80 anni ai giorni nostri); il fatto che era sordo; che gli mancava un avambraccio asportato in modo violento mentre era in vita, essendosi poi rimarginata la ferita ossea; e che era affetto da una grave forma di zoppia, a causa di una frattura di un femore calcificata, quindi anch’essa prodottasi durante la vita di questo nostro sfortunato “nonnino”.

Ma perché far risalire a quest’uomo il sorgere dell’umanità? 

Semplice: perché una scimmia con una sola di quelle menomazioni sarebbe morta dopo poco, tra atroci sofferenze e senza l’aiuto dei suoi simili.   Semplicemente perché non avrebbe potuto procurarsi cibo, né sfuggire alle fiere. Quell’uomo è diventato “vecchio” grazie ai suoi “prossimi”, che se ne sono fatti carico e lo hanno assistito con amore, obbedendo ad una legge naturale, non scritta, che nel profondo ci spinge ad aiutare chi ha bisogno.

Ecco la scintilla dell’umanità, quella che rende la nostra vita degna di essere vissuta: potere essere utili a qualcuno. In una parola: il dovere, quello che ci spinge a sacrificarci, ad intraprendere, a sfidare le difficoltà per giovare ai nostri prossimi, alla famiglia, alla società.
Allora – forse – più che adeguare le modalità di lavoro ai “nuovi valori”, faremmo bene a far circolare parole e concetti che da molti decenni si sono dimenticati: ad esempio che nessun diritto è slegato da un corrispondente dovere, perché diversamente qualcuno avrà danno dai nostri vantaggi, e che ogni scelta ha delle conseguenze delle quali siamo responsabili in prima persona. Ed a questo “valore” è funzionale ogni lavoro, anche il più apparentemente umile.

Certo, non va bene neppure fare del lavoro il “Moloch” della vita, immolando ad esso gli affetti, la famiglia, i figli … Quando questo succede, significa davvero avere perso riferimenti e valori importanti.

Ecco quindi la necessità di trovare il giusto equilibrio, rimodellando una società umana e rispettosa di tutti. Senza “riserve indiane”, ma con sincera condivisione dei nostri talenti ed amorevole premura verso i nostri simili: belli o brutti, buoni o cattivi, ecc.

Se vi toccasse di fare gli spazzini, dovreste andare e spazzare le strade nello stesso modo in cui Michelangelo dipingeva le sue figure; dovreste spazzare le strade come Handel e Beethoven componevano la loro musica. Dovreste spazzarle nello stesso modo in cui Shakespeare scriveva le sue poesie. Dovreste insomma spazzarle talmente bene da far fermare tutti gli abitanti del cielo e della terra per dire: “Qui ha vissuto un grande spazzino che ha svolto bene il suo compito”.
(Discorso di Martin Luther King nella New Covenant Baptist Church, 9/4/1967).