Ferrovie di montagna
Romantica utopia o strategia vincente?
Proviamo ad esaminare una carta geografica decente (del TCI o simile) del Nord
Italia degli anni ’50 del secolo scorso. Limitandoci alla regione Alpina Triveneta,
si può notare che questa era percorsa in
lungo e in largo, oltre che da numerose
strade più o meno importanti (colore generalmente rosso o giallo), da numerose linee
di colore nero.
Concentriamoci su queste.
Rappresentano la rete ferroviaria attiva in
quel periodo, costituita da una insieme di
linee principali (ad esempio Verona-Bolzano-Brennero, Venezia-Udine-Tarvisio, Verona-Venezia-Trieste, etc) e da una fitta rete
di linee secondarie, alcune su binari standard o “a scartamento ordinario”, altre “a
scartamento ridotto” (per esempio, Bolzano-Merano-Malles Venosta, Ora-Predazzo, Calalzo-Cortina-Dobbiaco, Carnia-Villa Santina, etc).
Una vera e propria ragnatela che raggiungeva anche molte località
di montagna destinate ad un futuro turistico
o ad un notevole sviluppo industriale di nicchia in settori specifici coerenti con il contesto montano.
Nel giro di pochi anni (più o meno un decennio attorno agli anni ’60), gran parte di
quelle linee nere sono scomparse dalle
carte geografiche aggiornate, ed anche dalla realtà dei fatti.
Una miope strategia nazionale di sviluppo economico e sociale non
ha considerato queste tratte su ferro come
degne di sopravvivenza, puntando sulla soluzione stradale/gomma come prevalente,
se non l’unica degna di ammodernamento
ed ampliamento nel settore della mobilità.
Una politica di sviluppo delle infrastrutture
tutta diversa è stata seguita dai Paesi alpini
nostri confinanti, ovvero Austria e Svizzera
(ma anche Baviera e Baden-Wurttemberg).
In questi Stati le realtà ferroviarie uscite dal
secondo dopoguerra sono state manutenute, ammodernate, ampliate ed innovate,
fino a diventare nervature vitali e apportatrici di notevoli e duraturi benefici economici,
sociali e turistici. Tra i tanti, tre esempi: la
Ferrovia Retica nel Cantone svizzero dei
Grigioni (che comprende la tratta, particolarmente nota in Italia, che collega Tirano a
Saint Moritz), la Ferrovia del Semmering
e la Ferrovia di Mittenwald in Austria.
Le
prime due sapientemente inserite da tempo
anche nella lista dei Patrimoni dell’Umanità
dell’UNESCO.
Il nostro Paese ha perseguito invece la sola
soluzione stradale, abbandonando ad un triste destino molte tratte ferroviarie, considerate per insipienza “rami secchi”, che
con una visione più lungimirante (che nel
nostro Paese spesso fatica a farsi strada)
avrebbero potuto contribuire ad uno sviluppo sociale ed economico equilibrato e
stabile di molte aree di montagna e di molte
“Terre alte”, aree che da molti anni sono in
fase di spopolamento (comprese la celebrata Cortina d’Ampezzo dei VIP, la Val di
Fassa, etc) a favore di un turismo spesso
“mordi e fuggi”, fortemente inquinante e
pronto a cambiare destinazione una volta
che queste sopra citate siano state sfruttate e non siano più soddisfacenti.
Per
certi versi, un destino analogo a quello di
Venezia-Disneyland, ormai abbandonata
dai residenti “nativi” (oggi sotto ai 50mila) a
favore del solo turismo – di massa o non –
che sta perdendo così la sua anima di “città
vera, viva ed abitata”.
Non dappertutto però questa soluzione
è stata perseguita ad occhi chiusi.
Esemplare è quanto accaduto in Alto Adige alla
linea Merano-Malles, relegata allo stato
di abbandono dalle Ferrovie Italiane e recuperata dalla provincia di Bolzano che,
intravvedendone una concreta possibilità
di sfruttamento, l’ha riattivata e riaperta dal
2005 con ottimi risultati a supporto dell’industria turistica ma anche dei residenti e
delle aziende dislocate lungo il percorso.
Con l’inizio del terzo millennio, è maturata
in una parte sempre crescente delle comunità di montagna l’idea forte e determinata della necessità (e della convenienza
anche economica e competitiva) di una
riabilitazione delle ferrovie locali come
chiave di sviluppo sostenibile e alternativo
a quello basato su una mobilità unicamente “su gomma”.
Chiunque frequenti nelle
stagioni estive o invernali le zone turistiche
montane (che fortunatamente abbondano
nel Triveneto), si rende conto della fragilità e della insufficienza delle infrastrutture
stradali esistenti. Un paio d’ore in coda, (respirando ameni fumi dagli scarichi d’auto,
autocarri e autobus che ammorbano tutta la
vallata) per percorrere i 15 km da Moena a
Canazei, fanno saltare tutti i programmi per
una amena giornata in quota; analogamente un paio d’ore (ma in certi casi “fortunati”
anche cinque) per rientrare verso Sud dal
Cadore fino a Pian di Vedoia ed alla autostrada A27, sono situazioni che:
- da un lato fanno passare a molti la voglia
di ripetere l’esperienza,
- dall’altro provocano un livello di inquinamento che annulla alla grande il beneficio
della leggendaria “aria fine di montagna”.
Si riparla, in provincia di Bolzano, di una
linea ferroviaria che penetri nella val Gardena e vada anche oltre.
Si riparla, in Veneto, (purtroppo con poca o nulla convinzione istituzionale né a livello
locale né regionale né tanto meno a livello
nazionale, e con poca convinzione e molto
disinteresse anche della gran parte dell’opinione pubblica locale) della ferrovia delle Dolomiti Calalzo-Cortina-Dobbiaco.
Da oltre vent’anni si parla anche, in provincia di Trento, di una linea tutta nuova che
copra il percorso Trento-Valli dell’Avisio
(Cembra, Fiemme, Fassa)-Canazei, per
una lunghezza di circa 80 km.
Una rivisitazione profonda e concettualmente modificata del defunto progetto “Metroland” che
prevedeva, con caratteristiche tutte diverse, il collegamento tra Soraga (val di Fassa) e Pergine (Valsugana) per inserirsi nella
linea Valsugana. Un percorso nuovo a fianco del fiume Avisio, toccando tutti i paesi e
proponendosi non solo come collegamento
turistico, ma anche a pieno titolo per i “residenti” e per le eccellenti e numerose attività
aziendali, agricole e forestali esistenti lungo il percorso.
Una ferrovia che troverebbe un collegamento diretto, a Trento, con
l’asse internazionale Verona-Monaco (il
traforo del Brennero, 55 km attivi dal 2032
lungo l’asse europeo n° 5-Corridoio Scandinavo Mediterraneo, è in fase di silenziosa
ma concreta e avanzata realizzazione).
Una scommessa, quella del treno Trento-Canazei, in fase di progressiva maturazione e sviluppo, che sta raggiungendo risultati incoraggianti, grazie alla determinazione (testardaggine?) di un manipolo di
volontari appassionati, riuniti in una associazione titolata TRANSDOLOMITES,
che credono appieno a questa soluzione.
Una rivoluzione nell’ottica di una vera MOBILITÀ SOSTENIBILE.
PAT-Provincia Autonoma di Trento e
RFI-Rete Ferroviaria Italiana stanno definendo il Protocollo d’intesa che porterà a
breve al conferimento dell’incarico per lo
studio preliminare per la progettazione ferroviaria del “treno dell’Avisio”.
Il prossimo step è “l’istituzione di un Gruppo di Lavoro per la progettazione e la successiva realizzazione di opere infrastrutturali d’importanza strategica per la rete
ferroviaria nella Provincia Autonoma di
Trento”, attività propedeutiche alla predisposizione dello SFTE (Studio di Fattibilità
Tecnico Economica) per un collegamento
Trento-Canazei.
Quella che potrebbe sembrare a prima vista una UTOPIA FANTASTICA e ROMANTICA si sta forse trasformando, pur tra molte difficoltà ed ostacoli, in una STRATEGIA
VINCENTE per un vero sviluppo futuro
dell’intera area di montagna attraversata.
In attesa dello Studio di Fattibilità
PAT-RFI, Transdolomites organizza
per il 12 aprile 2024 una giornata di
convegno nella Sala Conferenze del
MUSE, Museo delle Scienze di Trento
in Corso del Lavoro e della Scienza, 3.
Titolo dell’evento con libero ingresso:
“Verso il treno dell’Avisio: Tecnologie, Ambiente, Fattibilità”. L’impegno che l’associazione intende assumersi con tale convegno è di avviare,
pur nell’immaginario, un percorso di
progettazione e di costruzione del tanto auspicato collegamento ferroviario
pensato per unire Trento con Canazei.
Un obiettivo che parte dalla consapevolezza che si sta proponendo
la costruzione di una infrastruttura
strategica, capace di ridefinire i futuri scenari di mobilità, e che essa
verrebbe inserita in territori di grande
pregio, che ospitano anche alcuni siti
riconosciuti dall’Unesco come Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
18 aprile 2024