In Italia o si torna a fare industria o si emigra
Le scuole tecniche professionali, gli istituti superiori e il rapporto scuola – lavoro rappresentano scelte importanti per lo sviluppo del Paese, come dimostrano le esperienze tedesche e svizzere.
Socio ALDAI Federmanager - Consulente ottimizzazione costi aziendali - achille.ratti17@gmail.com
L’ articolo del collega Giovanni Caraffini “L’Italia perde competitività”, sulla rivista "DI" di novembre 2019, mi spinge a rilanciare il grido di dolore e ad esprimere, dopo cinque anni dal mio primo articolo, alcune riflessioni con l’obiettivo di arginare la perdita di competitività del nostro caro Paese e, possibilmente, invertire questa tendenza che peserà gravemente sul nostro futuro.
Caraffini pone, in particolare, una domanda "bruciante": “Perché aumenta la differenza competitiva fra Germania e Italia?” Il collega indica le 8 principali ragioni e ve ne sono naturalmente molte altre in qualche modo collegate alla natura individualista della nostra cultura che esprime al tempo stesso genialità e disorganizzazione.
A mio giudizio “la qualità della formazione tecnica e la quantità di tecnici preparati" è il fattore competitivo più importante e sono lieto notarne la presenza fra gli 8 indicati nell'articolo.
Ogni anno ammontano a 800 mila i tecnici formati in Germania contro 8 mila in Italia“. Questo, a mio giudizio, è il punto debole che dovrebbe essere discusso e risolto per favorire il lavoro. Dovremmo modificare l’atteggiamento oggi negativo verso la formazione tecnica a tutti i livelli, sia verso le scuole professionali che verso le scuole tecniche. Dovremmo spingere ed appoggiare le Istituzioni sostenendo lo sviluppo di Istituti Superiori di Superperiti (anche in alternativa ad alcuni nuovi corsi di laurea che sono solo una fabbrica di disoccupati oltre che uno sperpero di denaro pubblico, o meglio di nostro denaro), per affrontare il gap sempre più evidente ed assurdo fra la crescente domanda di posizioni lavorative specializzate e le professionalità realmente disponibili, una situazione assurda considerando l’alta disoccupazione del nostro Paese.
Ricordo che il boom industriale degli anni 60 (in cui si costruirono per esempio i 600 km dell’Autostrada del Sole che in soli 8 anni collegò Milano a Roma) fu il frutto delle capacità tecniche dei diplomati - preparati da Istituti Tecnici per Periti Industriali - che avevano appreso bene la teoria e la pratica, tanto che molti di essi fondarono nuove aziende, molte delle quali contribuirono a quello sviluppo industriale che tanti ci invidiano. La stessa cosa era avvenuta nei settori artigianali e industriali con tecnici preparati da corsi di avviamento professionale in alternativa alle scuole medie.
Faccio appello ai dirigenti di aziende industriali, che sono partiti dal loro diploma di perito industriale o di avviamento professionale, naturalmente insieme ai colleghi che hanno frequentato altre scuole, per promuovere un fondamentale mutamento culturale utile a colmare il gap di preparazione tecnica. Ritengo che il potenziamento delle scuole tecniche e professionali e la creazione di nuovi Istituti Superiori per Superperiti potrebbero essere determinanti anche per il Sud Italia, per far partire uno sviluppo che la creazione dell’Industria di Stato ha miseramente fallito.
Più meritocrazia
L’altro punto segnalato dal collega Caraffini su cui mi voglio soffermare è la Meritocrazia. Anche qui occorre fare ciò che si faceva negli anni 60 e cioè tornare a premiare i migliori a tutti i livelli cominciando dalle scuole, alle Università e così pure nel mondo del lavoro e delle professioni.
Occorre premiare, ad esempio con consistenti borse di studio, i risultati basati su dati oggettivi, come i migliori voti a livello nazionale nelle prove Invalsi o Pisa o test di ammissione alle Università, che permettono anche confronti a livello internazionale. Ciò aiuterebbe a combattere il fenomeno endemico delle raccomandazioni che, da una parte sono purtroppo uno dei principali mezzi per ottenere un posto di lavoro e, dall’altro sono il principale ostacolo alla mobilità sociale e l'incentivo alla fuga dei giovani di talento.
Ricordo a questo proposito i libri e gli articoli di Roger Abramavel ex McKinsey ed ora editorialista del Corriere della Sera. In particolare una delle sue opere: “Meritocrazia. Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto“ Edizioni Garzanti 2008, nel quale sottolinea i due valori essenziali del merito e cioè responsabilizzazione degli individui sulle proprie azioni e pari opportunità, che nella nostra attuale società sono sostituiti da solidarietà acritica e permessività lassista.
A questo punto riporto il contenuto "attualissimo" di alcune frasi dell’articolo pubblicato cinque anni fa da Dirigenti Industria, che auspicava anche l’introduzione nel nostro ordinamento dell’alternanza scuola e lavoro, oltre a denunciare la pericolosa percezione in Italia di inferiorità delle scuole tecniche e professionali rispetto ai licei, che in Germania, in Svizzera ed in Austria non esiste. Fortunatamente la legge 107/2015 ha introdotto nella scuola media superiore l’alternanza Scuola – Lavoro, anche se c’è ancora molto da lavorare per renderla effettivamente valida ed efficace.
Alcuni passaggi del mio articolo del 2014
E’ assodato che ormai il quadro ottonovecentesco della scuola è stato in gran parte superato e che l’economia e lo sviluppo di una nazione saranno condizionati dall’istruzione. ...
In Italia dagli anni 60 si è sempre puntato alla liceizzazione. Solo il 37% degli studenti frequentano Istituti Tecnici o Tecnico-Professionali e i diplomati relativi rappresentano solo il 30% del totale. Inoltre il nostro sistema educativo è debolissimo negli Istituti Tecnici per quanto riguarda i percorsi misti scuola-lavoro. E’ opportuno soffermarci su un dato drammatico della nostra scuola: il fenomeno dell’abbandono scolastico ossia dell’uscita definitiva di uno studente da un certo iter educativo – formativo. Questo fenomeno, che si verifica soprattutto nei giovani di età di 14/16 anni in prevalenza di sesso maschile, si configura come dispersione scolastica raggiungendo a livello nazionale il 18,8%. Più precisamente, considerando le diverse tipologie scolastiche, emergono grosse differenze in quanto circa l’80% dei liceali arrivano alla 5 superiore, circa il 70% per gli Istituti Tecnici e meno del 60% negli Istituti Professionali. Ne deriva che nel nostro paese è presente un elevato numero di giovani che non studiano né lavorano e non sono impegnati in attività di formazione. Si tratta di un fenomeno che è peggiorato rispetto al passato: è probabilmente il segnale di un considerevole divario fra l’offerta di lavoro da parte delle imprese e la domanda di lavoro da parte dei giovani. ...
Facendo un parallelo con la Germania, notiamo che in quel paese gli studenti che frequentano Istituti Tecnici o Tecnico Professionali rappresentano oltre il 50% della popolazione scolastica .
In Germania si afferma e si è convinti che la formazione professionale duale alla tedesca sia alla base del successo economico del paese ed in particolare dell’industria tedesca. La metà dei ragazzi tedeschi frequenta un corso di formazione professionale. Ci sono 340 corsi diversi dall’infermiere al bancario, dal meccanico all’elettronico. E’ una combinazione di teoria e pratica : 3 giorni alla settimana di training e 2 giorni in aula. E il Certificato Professionale, al completamento dei 2 o 3 anni di formazione, non esclude la possibilità di frequentare l’università in seguito. Alcuni Ceo di successo hanno cominciato così Ma questo non è solo un sistema tedesco, esiste anche in Austria e in Svizzera. Alla base c’è una partnership fra pubblico e privato perché le imprese devono offrire posti di lavoro e pagare le retribuzioni onde per cui serve un ente che gestisca i Certificati (in Germania è la Camera di Commercio).
Ho avuto occasione di parlare con insegnanti delle scuole svizzere e ho appreso che:
- nella maggioranza delle scuole (almeno il 75%) corrispondenti alle nostre medie ci sono dei professori di materie per il trattamento di metalli, legno, elettronica etc, che danno informazioni primarie ai ragazzi stimolando la “vocazione” per tali settori;
- circa un terzo dei ragazzi si indirizzano verso una scuola prettamente professionale, un terzo verso scuole miste e un terzo verso scuole simili ai nostri licei,
- c’è un continuo collegamento fra scuola e azienda con parte del tempo in azienda e parte a scuola;
- molte scuole tecniche a livello universitario sono collegate alle aziende, parzialmente finanziate dalle stesse e anche qui con un continuo scambio scuola lavoro. Le aziende che finanziano assumono poi dalle scuole allievi che già conoscono.
- più del 50% dei CEO svizzeri vengono da scuole non paragonabili ai nostri licei.
Come dirigenti industriali dobbiamo agire per modificare la situazione e avvicinarci al modello tedesco altrimenti è inevitabile che il sistema industriale italiano crolli ulteriormente. E’ indispensabile ridare importanza alla formazione tecnico- professionale attraverso la riqualificazione ed il potenziamento degli Istituti Tecnici e delle Scuole Professionali supportate da una efficace informazione da parte degli Istituti Scolastici, del Governo, delle Regioni e dei mezzi di comunicazione.
Evitiamo lo sperpero degli investimenti in formazione
Da ultimo commento l’affermazione di Caraffini: “Il gap di competitività diventa motivo per molti giovani e manager per trasferirsi all’estero, così l’investimento di 300.000 euro ciascuno per formarli diventa un vantaggio per i paese più competitivi. Il costo di tale formazione che non produce reddito è di circa l’1% del Pil italiano, secondo il commento di Giacomo Franchini al Convegno ANIMP sui trend di mercato per il settore impiantistico che comprende 5.000 imprese e 190 miliardi di fatturato”
Ebbene qualcosa si può fare per evitare la fuga delle competenze, come fanno in altri Paesi. Ad esempio in Austria i medici, se frequentano corsi di specializzazione gratis, devono firmare un contratto con il Servizio Sanitario Nazionale Austriaco per 10 anni altrimenti, se vogliono lavorare all’estero, devono rimborsare lo stato per le spese sostenute.
Naturalmente la principale soluzione alla fuga delle competenze sta nel riconoscerne il valore in Italia creando opportunità di lavoro, qualità di vita e riconoscimento del merito, migliorando cioè il quadro competitivo rispetto ad altri paesi.