Casasco: il carico contributivo impedisce di avvalersi di risorse qualificate

Intervento del Presidente di Confapi Maurizio Casasco all’Assemblea Federmanager. Ennesimo appello per un piano industriale e un progetto paese.

A cura della redazione
Nel condividere gli interventi dei Presidenti di Federmanager e Confindustria, con i quali si è sviluppato un sentimento comune di interesse per il paese, cercando di dare alla classe politica idee e proposte, il Presidente di Confapi Maurizio Casasco ha sottolineato il superamento del ruolo istituzionale di rappresentanza delle parti sociali per assumere un ruolo di responsabilità condivisa in un momento di difficoltà e stagnazione del paese. Senso di responsabilità dei manager, imprenditori e industriali che dovrebbe essere d’esempio, per superare una comunicazione diventata inaccettabile, a livelli indecorosi, che lede l’immagine e la credibilità del nostro Paese in Europa e nel mondo. Di seguito i passaggi più significativi dell'intervento del Presidente Casasco. 

"La competizione deve avere un limite ed essere moderata dalle regole e dal rispetto. Dobbiamo dare l’esempio come classe dirigente insieme alla classe politica, perché se ci impegniamo per avere la migliore classe di lavoratori e imprenditori, dobbiamo avere anche la migliore classe politica, perché ci giochiamo sulla credibilità il nostro futuro.

Per Confapi Federmanager rappresenta non solo un partner importante con il quale abbiamo consolidato nel corso degli anni un profondo rapporto che ha portato a brillanti e concreti risultati: la firma di contratti innovativi e la creazione di ben cinque enti collaterali, che stanno lavorando bene in un’ottica di sistema. Federmanager è anche un compagno di squadra intelligente, con il quale ci siamo sempre confrontati per discutere e guardare oltre e più lontano, con responsabilità e con la volontà di valorizzare il nostro Paese e quel patrimonio industriale di creatività e di sapienza che ci ha portati ad essere famosi nel mondo.

Cliccando il video di seguito è possibile rivedere l'intero intervento.
I cambiamenti epocali dell’ultimo decennio hanno rischiato di mettere a repentaglio la fisionomia stessa dei modelli produttivi, non solo di quelli italiani. La nostra piccola e media industria privata ha dato però prova di poter resistere al declino, nonostante i venti contrari e la mancanza di politiche industriali, sistemiche e organiche, di avere nel suo DNA una straordinaria capacità di adattarsi e di competere. Il contesto nazionale e internazionale ci obbliga, come non mai, a rimboccarci le maniche e seguire la logica del fare e del costruire.  
Dobbiamo unirci e concentrare le nostre forze per realizzare un piano d’azione sistemico, che rilanci la nostra economia e che ci consenta di competere con le economie non più emergenti che conquistano importanti fette di mercato. Per far ciò bisogna mettere a punto delle politiche attive per chi il lavoro lo crea.

I numeri che abbiamo a cuore non sono quelli dei sondaggi elettorali, bensì quelli del Pil, dell’occupazione, soprattutto quella giovanile, degli oneri finanziari, del costo del lavoro, del carico e del cuneo fiscale.
Da qualche decennio le questioni da affrontare sono sempre le stesse: il cuneo fiscale è in Italia di oltre 10 punti sopra la media europea e il tax factor di 25 punti. È evidente che questo divario ingessa la nostra economia, ci penalizza in termini di competitività e in termini di occupazione. Spesso infatti impedisce alle industrie di avvalersi di risorse qualificate, come quelle rappresentate da Federmanager.

È indispensabile un abbattimento quanto prima del cuneo fiscale, la detassazione degli aumenti retributivi e l’accesso al credito riportando il ruolo delle banche a quello originario, non speculativo, a favore del tessuto produttivo, favorendo fonti alternative di finanziamento per ridurre l’attuale dipendenza al 98% dal sistema bancario, un monopolio rispetto al 50% del sistema inglese. Analogo discorso vale per la burocrazia; tra IRES, IRAP, Tassa sugli immobili, versamenti IVA e contributi sociali, in Italia un imprenditore medio effettua in un anno 25 milioni di euro di versamenti al fisco, 16 in più del suo collega tedesco, 7 in più di quello inglese, spagnolo o francese e 9 in più di quello svedese. Ogni imprenditore spreca un mese all’anno in questioni burocratiche.

Non ci stanchiamo di dire che abbiamo bisogno di un progetto Paese credibile e con visione industriale.

L’investimento in capitale umano, dotato di elevate competenze, deve salire in cima alla scala delle priorità aziendali."

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