CIDA in audizione alle commissioni di Camera e Senato sulla legge di bilancio 2024

Le proposte CIDA sono finalizzate a sostenere lo sviluppo con iniziative lungimiranti e ad attenuare i disagi presenti anche tra le nostre categorie di lavoratori, portatrici dei valori della responsabilità, della professionalità e del merito, che tanto hanno dato e continuano a dare per il successo dell’economia nazionale

 
Roma, 10 novembre 2024 - La delegazione Cida, composta dal direttore di Cida, Teresa Lavanga e dal segretario generale di Manageritalia, Massimo Fiaschi, ha partecipato all'Audizione delle Commissioni congiunte bilancio di Camera e Senato sul disegno di legge di bilancio per il 2024.

Si è innanzitutto sottolineato che in una congiuntura economica particolarmente delicata, si comprende come la manovra debba essere concentrata su chi ne ha maggior bisogno, ma che ci si aspettava contestualmente misure volte a sostenere gli investimenti necessari a creare lavoro e opportunità di crescita. 

Si assiste, invece, ad una Manovra finanziaria impostata ancora una volta sull’emergenza e sulla provvisorietà, che non consente di dare impulso a quell’inversione di rotta, attesa da troppi anni, verso una crescita strutturale e duratura, ma con la quale anzi si ritorna ad alimentare il debito pubblico.

Cida, che organizza sindacalmente la dirigenza e le alte professionalità nel settore pubblico e privato, rappresenta un’importante porzione del ceto medio e medio-alto, si sente investita in pieno dalle misure previste, essenzialmente per il fatto che le categorie rappresentate si collocano in un’area sociale dove s’incrociano, con conseguenze cumulative, gli effetti negativi di molti provvedimenti in essa contenuti.

Le figure dei manager, ai vari livelli di responsabilità, nel pubblico e nel privato, sono attori decisivi per dare risposte alla crisi e rilanciare il sistema Italia e avremmo auspicato che la componente manageriale del Paese fosse finalmente valorizzata e non solo “utilizzata” per fare cassa.

Andando ad analizzare gli effetti del combinato disposto del taglio del cuneo fiscale e dell’accorpamento delle aliquote Irpef, dichiaratamente ispirati dalla volontà di conferire un beneficio alle buste paga dei ceti medi, è stato stigmatizzato che gli unici benefici coinvolgeranno i contribuenti che percepiscono fino a 35.000 €: implicitamente questo comporta che i percettori di redditi superiori a 35mila euro lordi annui, vale a dire circa 2.000 euro netti per tredici mensilità, vengono individuati come la fascia di contribuenti sui quali continuare a riversare il carico maggiore dell’erario pubblico. Sono quei 5 milioni di cittadini con reddito superiore a 35.000 euro che sostengono il peso del welfare versando il 63% circa di tutto il gettito Irpef.

Per quanto Cida non possa non condividere lo sforzo del Governo ad accentuare il carattere redistributivo della leva fiscale, ciò non basta a garantirne l’equità. Si conviene che un’equa politica redistributiva si persegua ponendola a carico, in primo luogo, di coloro che evadono o eludono e non prevalentemente su coloro che già assolvono regolarmente gli obblighi fiscali. In presenza poi di risorse scarse diviene obbligatorio verificare dove siano destinati gli sforzi fiscali, diventa inaccettabile continuare a fare finta che il quadro delle rilevazioni dei redditi degli italiani non nasconda tanta elusione fiscale e contributiva.

Dei 24 miliardi complessivi della Manovra, circa 16 sono provenienti da extra deficit, ciò aumenterà il debito e gli interessi passivi, per cui dal prossimo anno lo Stato italiano dovrà farsi carico complessivamente di interessi passivi per oltre 100 miliardi. Si supera una soglia di scurezza che non ha solo un valore psicologico ma espone il nostro Paese alla speculazione internazionale. In tale contesto, pertanto, la legge di bilancio avrebbe dovuto concentrare le risorse per sostenere gli investimenti in quei settori che potrebbero servire da volano per aumentare produttività e crescita. Continuiamo infatti a credere che se non pensiamo anche a crescere fra non molto non avremo nulla da redistribuire.

Entrando nel dettaglio delle misure particolarmente criticate, i rappresentanti Cida non hanno potuto non iniziare dall’indicizzazione delle pensioni (art. 29). È di tutta evidenza che il mancato adeguamento all’inflazione costituisca, anche dal punto di vista giuridico, una decurtazione permanente del credito pensionistico. Il che, tradotto in termini tributari, si configura come una vera e propria imposta patrimoniale ma non circoscritta alle grandi fortune, come in altri paesi, bensì ai soli percettori di alcune migliaia di euro, purché a titolo di pensione, mostrando tutta la sua carica di incostituzionalità.

Come misura tampone e di parziale sollievo per le categorie che Cida rappresenta, si ritiene un segnale politico importante almeno il ripristino di una rivalutazione delle pensioni per scaglioni di reddito e non per fasce. Considerando poi che il costo in bilancio del ripristino per scaglioni sarebbe limitato, al netto delle imposte che ritornano all’erario, a circa 170 milioni di euro. Il medesimo impatto positivo si sarebbe potuto ottenere mediante una determinazione più riflessiva dell’aliquota di rivalutazione per le pensioni superiori a 8 volte il trattamento minimo Inps, per le quali il calo è brutale, dal 47% al 37% e poi addirittura al 22% per le pensioni superiori a 10 volte il trattamento minimo Inps (peggiorando di ben 10 punti percentuali il già pesante tributo previsto dalla Finanziaria 2023).

Va ricordato che si tratta di pensionati che, negli ultimi anni, hanno visto i propri assegni previdenziali subire 5 contributi di solidarietà e 10 blocchi perequativi e negli anni hanno perso per sempre più di 1/4 del potere d’acquisto.

Inoltre, nonostante l’Istat abbia certificato che la speranza di vita è diminuita, il disegno di legge di bilancio prevede che l’indice, applicato alla pensione anticipata (42 anni e dieci mesi per gli uomini, un anno di meno per le donne) decorrerà dal 31 dicembre 2024 anziché dal 31 dicembre 2026. Ci stiamo avvicinando quindi ai nuovi parametri di 43 anni per gli uomini e di 42 anni per le donne, il che contraddice l’obiettivo assunto da questo Esecutivo ad inizio legislatura dei “41 anni per tutti”.
Si propone, inoltre, di eliminare tutti i limiti legati all’assegno sociale introdotti dalla Riforma Monti Fornero, con riferimento alla maturazione del diritto al pensionamento nel sistema contributivo (art. 26).

Cida qui ha stigmatizzato la scelta del Governo di penalizzare così fortemente l’uscita a 64 anni dei contributivi puri, che non riguarda solo i millennials, ma tutti coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il ’96 e hanno già versato più di 20 anni di contributi.
Per quanto concerne, poi l’adeguamento al ribasso delle aliquote di rendimento delle gestioni previdenziali dei medici e dirigenti sanitari e degli enti locali (art.33) le ripercussioni sull’organico del SSN saranno fortissime: chi ha maturato il diritto alla pensione fuggirà prima possibile.

Apprezzato il ventilato ripensamento del Governo su questo punto, Cida ha espresso forti perplessità sul rischio che tale ripensamento comporti, come da anticipazioni di stampa, un inasprimento ulteriore delle regole della perequazione delle pensioni. Riteniamo infatti che le risorse possano essere prelevate da altre misure.
Cida ha fatto riferimento in particolare a Quota 103 per cui si prevedono nel 2024 17.000 mila pensioni in più, pari a un onere complessivo 149 milioni di euro.
Considerata la doppia penalizzazione prevista per il 2024 per questa misura (ricalcolo contributivo e introduzione di un plafond massimo fino ai 67 anni) la stima, per quanto prudenziale, appare comunque sovrastimata.

Analogamente, per quanto riguarda Opzione Donna, la RT stima un aumento di 2.200 pensioni per il 2024, pari ad un onere di 16 milioni di euro. Considerato che l’art. 30 aumenta da 60 a 61 anni il requisito anagrafico minimo previsto, anche qui il numero di richieste appare sovrastimato, visto che è identico a quello del settembre 2023. Quindi anche in questo caso può essere stornata quota parte dello stanziamento, se si vuole dare un segnale di equilibrio.

I nostri rappresentanti hanno chiesto siano presi seriamente in visione i risultati dei lavori dell’Osservatorio tecnico sulla spesa previdenziale e assistenziale, presieduta dal prof Raffaele Fabozzi e voluto dal Ministro Calderone, dove tutte le Parti Sociali anche datoriali, in sostanziale armonia, hanno fatto una serie di richieste ora possiamo dire tutte ignorate nella manovra. Si chiedeva di migliorare le condizioni di accesso per le pensioni contributive eliminando tetti o soglie, di rivedere in meglio Opzione Donna, di migliorare l’Ape sociale, di eliminare ogni forma di divieto di cumulo tra redditi di pensione e lavoro, di separare contabilmente la spesa pensionistica da quella assistenziale e di incentivare la previdenza complementare. In particolare per questo pilastro indispensabile, abbiamo addirittura registrato il silenzio nella manovra eppure sappiamo quanto, soprattutto per i contributivi puri, sia opportuno incentivarla.

Per concludere si è sottolineato come le richieste avanzate dalla Cida non apportino stravolgimenti all’impianto del Disegno di Legge. Ma semplici correttivi. Gli emendamenti proposti e consegnati agli atti si prefiggono di attenuare i disagi presenti anche tra le nostre categorie, portatrici dei valori della responsabilità, della professionalità e del merito e che in questo momento non riescono a vedere garantiti questi valori nella legge di bilancio di cui si discute.
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