Siamo tutti lavoratori - Difendere le pensioni e riportare equità
Sintesi della relazione del Presidente CIDA, Stefano Cuzzilla, all'incontro del 6 ottobre 2023 a Milano
Buongiorno a tutti e benvenuti.
Grazie per essere presenti così numerosi.
Ce lo aspettavamo, in verità. Negli ultimi giorni e settimane molte colleghe e molti colleghi ci hanno indirizzato messaggi preoccupati per l’andamento dell’economia e per la tenuta delle pensioni.
Si susseguono indiscrezioni sulla prossima manovra che prospettano, ancora una volta, cupi scenari. Temiamo che, ancora una volta, per recuperare risorse necessarie a fronteggiare esigenze di bilancio, si attinga in maniera iniqua alle rendite previdenziali di chi ha già dato tanto.
Voglio essere chiaro in premessa: sembra che alla miseria dei conti pubblici si voglia rispondere con il progetto di impoverimento generale degli italiani e la vostra preoccupazione è anche nostra.
Qualunque discorso sulle pensioni tocca il centro nervoso più sensibile, perché si tratta di un diritto fondamentale e irrinunciabile di rango costituzionale, si tratta del rapporto di fiducia tra Stato e cittadino, si tratta del legittimo affidamento che un cittadino coltiva verso la collettività proprio nel momento più delicato della vita, quando si diventa più fragili e spesso più soli.
È bene ricordarsi cosa significa la pensione. Non è solo un corrispettivo economico di quanto realizzato con il lavoro di una vita, è molto di più.
È proprio questo che ci porta qui a Milano, a saturare l'auditorium della Fondazione San Fedele, con molti più colleghi che ci stanno seguendo in streaming da tutta Italia, aderenti alle 10 federazioni di CIDA, a cui si sono aggiunti il Forum dei Pensionati, l’Associazione Nazionale Magistrati in pensione e il SI.N.PRE.F, l’Associazione dei Funzionari Prefettizi, che ringrazio per la fiducia che ci hanno accordato.
Ringrazio anche gli onorevoli che hanno voluto essere presenti e quelli che ci ascolteranno nei prossimi incontri già in programma, saluto inoltre il Professor Brambilla che ci supporta sempre da un punto di vista tecnico e l’avvocato Perfetti che ci illustrerà lo stato dei ricorsi giudiziari che abbiamo promosso.
Abbiamo intitolato questo incontro Siamo tutti lavoratori proprio perché intendiamo rappresentare le istanze non solo del management, ma di tutta quella fetta di popolazione sempre più assottigliata che contribuisce alla sostenibilità del sistema con il proprio sudore: il cosiddetto “ceto medio”, che contribuisce pagando imposte e sostenendo il welfare di tutti.
Un ceto medio che ogni anno vediamo ridursi nei numeri. Parliamo di poco più di 5 milioni di italiani che, in servizio o in pensione, pagano da soli il 60% dell’Irpef. Tutti gli altri sono in prevalenza assistiti, ed evidentemente non si tratta esclusivamente di persone in povertà che bisogna sostenere.
Un ceto medio che ogni anno vediamo impoverirsi sotto i colpi dell’accanimento fiscale, dell’inflazione e della progressiva esclusione dal sistema di welfare pubblico.
Lavoratori e pensionati che negli ultimi anni hanno visto una forte compressione verso il basso del potere d’acquisto, che ormai oscillano tra disillusione e rabbia.
Penso ai nostri medici, ai dirigenti pubblici, alle alte professionalità della scuola, competenze necessarie al sistema, che hanno le retribuzioni più basse dei loro omologhi europei e che, arrivati a fine carriera, sono trattati come dei bancomat.
Penso soprattutto ai nostri giovani che nemmeno confidano più nella pensione futura.
Vorrei ricordare che le previsioni demografiche per il nostro Paese sono eclatanti ed eloquenti: l’inverno demografico, come lo chiamano, ha molto a che fare con il progetto di impoverimento della classe media.
Chi pagherà le pensioni future se i lavori diventano lavoretti, se oltre il 65% dell’Irpef viene sottratta all’erario da evasioni contributive e fiscali, se chi guadagna da 35.000 euro lordi l’anno in su viene considerato ricco?
Gli effetti sul sistema previdenziale nei prossimi decenni saranno devastanti se non si corregge il tiro e difendendo le pensioni di oggi noi non ci stiamo soltanto preoccupando del presente, ci stiamo incaricando del futuro del Paese.
Dal 1998 nessun Governo ha interrotto la spirale negativa che si è abbattuta sui soliti noti. In questi 25 anni i nostri pensionati hanno subito 5 contributi di solidarietà e 10 blocchi perequativi.
In 30 anni le pensioni dei dirigenti e di tutti coloro che hanno un reddito pensionistico superiore a 4 o 5 volte il minimo INPS hanno perso per sempre più di un quarto del potere d’acquisto.
Le risorse “risparmiate” dalla lunga serie di provvedimenti riguardanti la perequazione automatica sono andate, nella maggior parte dei casi, a sostenere la spesa per le prestazioni assistenziali.
Peggio è accaduto con il mancato adeguamento delle nostre pensioni avvenuto nel 2023, che non vogliamo vedere ripetersi nel 2024: proiettato su dieci anni, il taglio che è stato eseguito sugli assegni dei pensionati porta nelle casse pubbliche circa 40 miliardi di euro. E mi sto riferendo a chi prende da 2.250 € netti al mese.
Il risultato di questo sacrificio che abbiamo sostenuto è servito a migliorare le condizioni del Paese e dei più poveri? Direi di no: ha solo determinato un aumento esponenziale della spesa assistenziale che ormai ha superato i 140 miliardi l’anno.
Siamo uomini del fare, dunque consapevoli delle difficoltà economiche che abbiamo di fronte. Eppure, molte delle complessità attuali si trascinano da anni e spesso si sono sommate a misure che potevano sembrare risolutive lì per lì, ma che poi sono state trascinate per troppo tempo senza preoccuparsi degli effetti finanziari: solo il Superbonus 110% per il 2023 genererà oneri a carico dello Stato di 23 miliardi.
Gli ultimi dati della Nadef prevedono che nei prossimi 16 anni il combinato disposto di pensioni, sanità e cure a lungo termine utilizzerà un quarto di PIL in termini di spesa pubblica obbligatoria.
È quindi evidente che le risorse sono sempre più esigue e le difficoltà sempre maggiori, ma non vogliamo più essere i soli a cui presentare il conto.
Aiutare chi è più fragile è un dovere e la classe dirigente italiana non si è mai tirata indietro, ma è altrettanto doveroso premiare il merito, la fedeltà fiscale e soprattutto tener fede ai patti sottoscritti con i cittadini. È questo che fa uno Stato leale.
Come si può pensare che il 13% di italiani dichiari redditi superiori a 35mila euro lordi e si faccia carico del 60% di tutta l’Irpef? Come giustificare il fatto che su 16 milioni di pensionati in Italia, quasi il 44% sono totalmente o parzialmente assistiti e che quindi non hanno versato neppure 15 anni di contributi? Come conciliare il fatto che il 57% delle famiglie vive in media con meno di 10mila euro all’anno quando gli italiani sono primi in Europa per possesso di automobili e secondi nel mondo per il gioco d’azzardo?
Solo noi riteniamo che questi dati siano contraddittori e inammissibili per una delle maggiori potenze economiche mondiali? Vogliamo davvero che l’Italia venga identificata come uno stato assistenzialista senza alcuna prospettiva di crescita?
Addirittura, qualche giorno fa, l’Inps ha avanzato una proposta dall’incredibile spirito ageista: differenziando le pensioni in funzione delle aspettative di vita, con assegni che cambiano in base alla regione di residenza e alla tipologia di professione. Un’idea che, più che fondarsi su un principio di equità e giustizia sociale, ha semmai un carattere propriamente discriminatorio: punire i cittadini in virtù della loro longevità e territorialità.
Aggiungo, punire anche il genere femminile perché, si sa, le donne vivono in media più degli uomini ma hanno contributi previdenziali nettamente inferiori, carriere discontinue e cominciano ad avere un’età media di pensionamento più alta.
Come se vivere di più fosse una colpa e la pensione non fosse frutto di un diritto acquisito dopo il lavoro di una vita.
Noi siamo tutti lavoratori e meritiamo tutti lo stesso rispetto!
Oggi diciamo basta a questi interventi iniqui. Chiediamo a questo Governo di adottare provvedimenti strategici che non sottraggano altre risorse a chi ha pagato onestamente tasse e contributi in un’economia alterata e inquinata dall’evasione.
Chiediamo che, nel rimettere ordine al sistema di detrazioni fiscali, non si perpetui l’errore di discriminare e penalizzare ulteriormente chi il welfare lo sostiene già in tutti i modi possibili.
Chiediamo maggiore sostegno alla previdenza complementare, che costituisce un secondo pilastro sempre più necessario.
Per difendere il sistema pensionistico, anche a garanzia delle future generazioni, CIDA ha più volte sottolineato la necessità della separazione contabile tra previdenza e assistenza, e l’urgenza di sottoscrivere un nuovo patto sociale tra generazioni che ponga il lavoro al centro degli obiettivi un’economia sostenibile, garante di un’offerta occupazionale più qualificata e meno precaria per i giovani.
La crisi può ancora diventare un’occasione di crescita e di cambiamento, da governare e indirizzare verso un percorso consapevole, per rifondare la struttura della società.
I sistemi di protezione sociale sono parte integrante di un modello che si fonda sulla convinzione che progresso economico e sociale debbano procedere di pari passo, rafforzandosi a vicenda.
Un modello che non deve fornire soltanto una rete di sicurezza per i poveri, ma deve garantire la coesione civile.
Il Presidente del Consiglio qualche giorno fa ha dichiarato che guarda l’orizzonte dei 5 anni di Governo per realizzare le grandi riforme di cui questo Paese ha urgentemente bisogno. Tra questi la riforma fiscale e previdenziale.
Noi abbiamo necessità di questo orizzonte di lungo periodo per realizzare un cambiamento strutturale e per questo ci mettiamo a disposizione del Governo come categoria.
Vogliamo credere, con ottimismo, che la politica sappia scrivere una nuova storia delle pensioni coi tempi verbali coniugati al futuro. Una storia dove i capitoli non abbiano per oggetto solo misure sottrattive e redistributive ma che parlino, invece, di crescita della popolazione, di potenziamento della vita delle famiglie, di lavoro per i giovani e le donne.
Una storia, infine, dove l’invecchiamento attivo sia finalmente considerato una risorsa per il Paese e un importante capitolo delle conquiste di civiltà.
Cliccare il video per il discorso d'apertura del Presidente CIDA Stefano Cuzzilla