Il Mondo Incerto del 2017
Nel confronto con la complessità della situazione mondiale l’Istituto per gli studi di Politica Internazionale ISPI rimane un riferimento costante.
Giuseppe Colombi
Consigliere ALDAI
Nello stendere il resoconto del convegno “Il mondo nel 2017 - Opportunità e rischi per le imprese italiane” è giusto iniziare da un apprezzamento particolare per l’opera di analisi e divulgazione che da molti anni l’ISPI svolge. Gli incontri che si tengono a Milano, di solito nella storica sede di Palazzo Clerici, sono tutti di grande interesse e vedono la partecipazione dei più prestigiosi relatori.
Anche in questo caso, gli ospiti dell’auditorium di Intesa San Paolo in Via Romagnosi hanno trovato una qualità ed un livello dell’evento non inferiori alle attese. Nello sforzo di dare una sintesi complessiva della giornata ci limiteremo all’analisi di alcuni interventi, omettendone altri, pur significativi,.
Il quadro politico-economico complessivo è di molte ombre e qualche luce, ma, come si vedrà, l’elemento più caratterizzante è quello dell’incertezza crescente, a tutti i livelli.
Globalizzazione: troppa fretta
Nell’introduzione del convegno il presidente di Intesa, Gian Maria Gros Pietro (Presidente intesa S.P.), rilevando che, grazie alla globalizzazione, vanno restringendosi le differenze di reddito tra nazioni, ne ha dedotto che si configura una riduzione dei fenomeni di delocalizzazione produttiva. Egli ha poi attribuito invece all’eccessiva rapidità del processo di globalizzazione la crescita nel divario di reddito all’interno dei singoli paesi. Ha concluso con una nota d’ottimismo collegata alla “rapidità di reazione delle imprese italiane” di fronte ai mutamenti di contesto.
Paolo Magri, che dell’Ispi è Direttore, ha portato una visione particolarmente incisiva. Partito dall’incertezza che caratterizza il mondo del lavoro, ha poi sottolineato come, sovrapponendosi e superando quello economico, stia tornando il rischio “politico”, non solo nei paesi emergenti. Infatti, se in area europea Brexit, Polonia, Ungheria, Turchia sono lì a dimostrare questa tendenza, ora il fenomeno si accentua ancora di più con la nuova situazione degli USA.
E’ dunque riconoscibile il diffondersi dell’incertezza ai tre livelli, nazionale, regionale e globale, da cui derivano fenomeni comuni quali perdita di suffragio delle forze politiche tradizionali, elezioni vinte da partiti dal consenso sempre più minoritario, governi sempre più deboli, almeno a livello dei paesi sviluppati. Da questo punto di vista l’Europa preoccupa: se infatti era lo stesso progetto unificante a prefigurare una progressiva caduta di rilevanza dei governi nazionali, questo indebolimento è già avvenuto per così dire “a metà del guado” ed oggi siamo di fronte a incontrollati fenomeni di divisione continentale, dopo la perdita del Regno Unito.
A livello globale, entrate in crisi le organizzazioni internazionali, gli stessi USA hanno abdicato alla funzione di guida e poliziotto mondiale: al riluttante Obama si è sostituito un Trump negatore del ruolo precedente.
Dappertutto crescono nazionalismi incontrollabili e si rischia di cadere in un circolo vizioso dove tutti, in nome del “my country first”, costruiscono la paralisi.
Magri ha concluso con domande difficili, specchio della citata incertezza:
- Quanto veleno diffonde la Brexit?
- Che succede se in Francia vince Le Pen?
- Che ne sarà a maggio in Iran degli innovatori?
- Quanto cresceranno i tassi americani?
- E la Germania?
Rischio abbastanza stabile
Alessandro Terzulli della Sace, nel rilevare che il debito globale (debito sovrano più imprese) è raddoppiato dal 2000 ad oggi, ha tuttavia fornito un quadro d’insieme non pessimistico, ed una valutazione del rischio sostanzialmente stabile rispetto ad un 2016 in cui esso si situava già a livelli piuttosto elevati. Ha aggiunto che cresce il protezionismo ed il flusso di capitale nei paesi emergenti è andato in negativo dal 2014.
Gregorio De Felice (Intesa San Paolo) ha confermato l’affermazione di Magri: oggi i rischi politici sono più rilevanti di quelli economici. Elencando un po’ alla rinfusa, in Usa l’attesa di una recessione, la deflazione, la politica estera sono elementi di incertezza, mentre in Europa preoccupano populismi, il blocco nei lavori conseguente alla Brexit, la mancanza di visione sull’unione monetaria.
E poi ci sono gli elementi contraddittori: in Usa si prospetta una crescita annua superiore al 2% ma in regime di pieno impiego, quindi con conseguenze controverse, mentre la riforma fiscale regressiva ipotizzata da Trump è evidentemente contraria alle aspettative cresciute nel suo stesso elettorato. In Europa si dice che l’economia migliori, ma il disagio sociale sta esplodendo. E, nell’anno elettorale, l’unione monetaria non solo non fa progressi, ma perde capacità di affrontare possibili crisi. (Grecia?)
De Felice vede nella BCE l’ultimo pilastro forte, capace di visione strategica. E commenta che una politica più espansiva è contraddittoria con politiche di taglio che, inevitabilmente, non possono che partire dagli investimenti. Egli vede ancora la Germania come caratterizzata da ”un'egemonia riluttante”, che non spinge. Se tra risparmio tedesco ed investimenti ci sono ancora nove punti di PIL di differenza a favore del primo, non ci siamo proprio. In Italia invece, vanno bene, come non mai, le esportazioni: non altrettanto i consumi, che non crescono.
La professoressa Lucia Tajoli del Politecnico ha mostrato una visione mediana, con un certo ottimismo nei riguardi dei Paesi emergenti e dell’impatto della Brexit. Sul protezionismo evidente nelle intenzioni di Trump si è detta convinta che lo pagheranno proprio i suoi elettori per primi. Se poi davvero gli USA si ritirassero dai mercati aperti, difficilmente la Cina potrebbe giocare il ruolo di credibile sostituto: dovrebbe essere l’Europa a farlo, ma non ne è oggi in grado.
L'Italia in Europa e nel mondo
Dario Di Vico (Corriere della Sera) è partito dall’esegesi dell’intervento di Angela Merkel a Malta sull’Europa a più velocità: secondo il giornalista, si può pensare che, in vista degli appuntamenti europei di primavera a Roma, questo renda più difficile che l’Italia venga “buttata fuori”, o per meglio dire relegata ad un cerchio più esterno. Citando Enrico Letta, De Vico ha richiamato tre punti:
- Piano di investimenti Junker: si tratta di una misura secondaria, non sostitutiva del normale finanziamento alle imprese, che mostra una preoccupante carenza di strategia dell’Unione.
- Rapporti con la Cina: dopo essersi battuta per il non riconoscimento della Cina come economia di mercato ora l’Italia, a fronte della nuova situazione generata da Trump, potrebbe essere costretta a ripensamenti.
- Sotto il nome di “sovranismo” cresce l’opposizione all’euro: se ora anche Tremonti si fosse “convertito” a riconsiderare l’appartenenza all’euro, questo significa che il tema è ormai all’ordine del giorno e non è più solo l’oggetto degli auspici dei populisti. De Vico ha peraltro sottolineato l’illusorietà del “ritorno al passato” di chi pensa ancora alle svalutazioni competitive. In questo caso il sovranismo si limiterebbe a proporre ”l'uso del metadone” a PMI che invece hanno bisogno di salire di gamma.
Siamo costretti a sorvolare su altri interventi (Panizza, Massolo, Bombassei) che pure hanno portato punti di vista significativi. Ci piace tuttavia ricordare l’intervento di Alessandro Spada (Assolombarda), non privo di un po’ di ritualità, molto incentrato sul tema “alla moda” dell’industry 4.0 e l’eccellente impressione derivata dall’ascolto del sottosegretario Ivan Scalfarotto, che ha relazionato l’uditorio sui suoi sempre più frequenti viaggi internazionali, specie in Cina, nell’intento di promuovere il Sistema Italia.
Chi, come lo scrivente, per un trentennio ha battuto molti paesi del mondo, spesso anche al seguito delle delegazioni ufficiali italiane, non ha potuto non rilevare con un certo sollievo che esistono ancora responsabili politici in grado di vivere l’internazionalizzazione per quello che è davvero, e non solo come obbligo istituzionale e slogan piuttosto vuoto.
Cliccando il link seguente è possibile scaricare, per gentile concessione dell'Istituto per gli studi di politica internazionale, il rapporto: L'età dell'incertezza. Scenari globali e l'Italia, a cura di A. Colombo e P. Magri, Rapporto ISPI 2017, Milano, ISPI, 2017.