Far tesoro del merito
Il dibattito sul merito in Italia è divisivo per mancanza di cultura della meritocrazia
Maria Cristina Origlia
Presidente Forum della Meritocrazia
Sono tempi sfidanti per il Forum della Meritocrazia.
Di fronte al vivace dibattito riapertosi negli ultimi due anni a livello internazionale e a quello scatenato dalla nuova denominazione del Ministero dell'Istruzione, a cui si è aggiunto il “Merito”, la nostra associazione si è ulteriormente interrogata, ribadendo l'approccio scientifico che la contraddistingue.
La provocazione lanciata dal libro The Tiranny of Merit (settembre 2020) dal sociologo Michael Sandel, professore ad Harvard, ha reso palese il fraintendimento su cui si basano molte posizioni contro la meritocrazia.
La visione del mondo come un'unica gara fratricida, tra coloro che ricoprono posizioni prestigiose, convinti di averle meritate, e coloro che si trovano in posizioni svantaggiate, convinti di non meritare di meglio, crea certamente una società ingiusta e discriminatoria. Che, però non è figlia di una visione meritocratica, semmai del suo stravolgimento. Come lo stesso Sandel ha ammesso nella sua lectio all'Università Cattolica del 5 maggio scorso, si deve distinguere tra una meritocrazia tirannica, piegata alle logiche negative di un contesto capitalistico predatorio, e una meritocrazia nobile, ispirata ai principi umanistici, che guarda al valore delle persone e, poi, al risultato.
Il primo punto, dunque, è – come ben argomentato dal filosofo Marco Santambrogio, ne Il complotto contro il Merito (Editore Laterza, ottobre 2021) – non cadere nell'errore di immaginare un solo tipo di società e di progresso, in cui solo alcune tipologie di talento vengono osannate e molte altre, di fatto, escluse.
Il confronto e la valutazione dei meriti ha senso in piccole competizione locali, in modo da poter riconoscere numerosissime talentuosità diverse e poter assegnare posti e posizioni sociali, secondo equità nell'interesse dell'individuo e della collettività. Si tratta, allora, di riconoscere la pluralità dei meriti non confrontabili tra loro, tutti lodabili e utili nella loro specificità. Ma anche di costruire le condizioni affinché questo possa avvenire, ovvero un sistema socio-economico che tenda ai tre requisiti già individuati da Aristotele: pari accesso alle opportunità, carriere aperte ai talenti, attribuzione delle cariche per merito. In particolare, servono lungimiranti investimenti nell'education, un solido sistema di protezione sociale, nonché politiche fiscali e redistributive che mitighino la polarizzazione delle ricchezze. Insomma, tutto ciò che si è smantellato negli ultimi decenni, lasciando il libero mercato senza l'indispensabile contraltare di regole sovranazionali e di interventi pubblici mirati a mitigarne le esternalità negative. Gli squilibri e le disuguaglianze che ne sono derivati si riflettono oggi nell'aumento di disoccupazione, di precarizzazione, di impoverimento, segnali di una crisi sociale che si intreccia con la drammatica emergenza climatica.
Risulta quindi urgente ristabilire un ordine democratico più giusto e inclusivo a livello internazionale, che per essere sostenibile deve portare benefici ai molti. Il discorso riguarda anche l'Italia con dati preoccupanti: dalla metà degli anni Novanta i patrimoni si sono sempre più concentrati, mentre la fascia più povera della popolazione adulta ha visto ridursi di circa tre volte la sua quota di ricchezza sul totale. Tra i più poveri troviamo i giovani e le donne, che subiscono situazioni di disuguaglianza in ogni fascia di reddito, con un impatto fatale sulla demografia del Paese. Condizioni di sistema, dunque, che non hanno favorito la mobilità intergenerazionale e che, anzi, hanno svincolato sempre più l'accesso all'istruzione e alle opportunità dalle capacità e dall'impegno, dal merito insomma, legandola alle condizioni di origine.
Un secondo punto indispensabile per una lettura onesta della realtà è comprendere la portata dell'economia della conoscenza, in cui siamo entrati a pieno titolo con il XXI secolo. Rispetto alle precedenti fasi del capitalismo, la qualità del capitale umano e della sua formazione sta assumendo un'importanza strategica senza precedenti, ovunque. Non solo nelle professioni altamente qualificate, anche nei reparti delle nostre fabbriche manifatturiere. In un'economia del genere, le competenze - a tutti i livelli - diventano la vera ricchezza delle persone, delle organizzazioni e di un Paese. Ma, nonostante la notevole dotazione di talentuosità diffusa, l'Italia risulta tra le Nazioni avanzate che meno sa valorizzare il suo capitale umano, soprattutto di giovani e donne. Sono diversi gli indicatori che ne segnalano la gravità ed è chiaro che è un problema di sistema, come ampiamente dimostrato dal Meritometro, l'indicatore scientifico messo a punto dal Forum della Meritocrazia nel 2015 (v. dettagli nell'articolo di Giorgio Neglia Chiudiamo anche il 2022 in fondo alla classifica del merito). Ne emerge un'incapacità strutturale di riconoscere i meriti e premiare l'eccellenza, che ci sta costando sempre più cara in termini di innovazione. Eppure, nel settore privato, le aziende che si sono dimostrate competitive e resilienti di fronte alle ultime crisi finanziarie, economiche, pandemiche e belliche, sono quelle che hanno innervato la governance e il modello organizzativo di merito, trasparenza e sostenibilità (v. La governance meritocratica. Storie di imprese e talento, a cura di Silvia Stefini, Guerini, 2022).
In ambito pubblico, la sfida si fa più complessa, perché – senza la pressione del mercato – diventa arduo scardinare un sistema intriso di pregiudizi verso il merito e irretito da una burocrazia, che offre molte scuse e giustificazioni. Eppure, sta lì la chiave di volta del Paese. E questo è il terzo punto su cui si deve fare chiarezza.
Il tema della Scuola è paradigmatico e drammaticamente importante. Al di là delle polemiche suscitate dalla neo-definizione del Ministero dell'Istruzione, il problema esiste eccome. Lato studenti, ci confrontiamo oggi con un sistema scolastico troppo poco inclusivo, soprattutto nei primi anni di vita, per poter contrastare efficacemente la dispersione delle fasce più a rischio di povertà educativa. Siamo, poi, ancora ancorati a un modello basato sulla priorità di alcune materie rispetto ad altre, che non ha più alcun senso nella società odierna e che tende a premiare solo alcuni tipi di intelligenza, perdendo l'occasione di far fiorire una gran varietà di talenti. Infine, manca totalmente un'azione di orientamento, che sin dalle medie dovrebbe aiutare a indirizzare i ragazzi in base alle loro attitudini. Ma, in questa sede, il tema ha a che fare soprattutto con la governance e il modello organizzativo della Scuola, su cui pesa la mancanza di strumenti per riconoscere i meriti dei docenti più seri, preparati e dediti a un lavoro così delicato, che lo Stato dovrebbe presidiare con estrema attenzione.
Si preferisce, invece, annacquare merito e demerito, in nome della difesa del diritto all'occupazione e all'ugualitarismo, anziché garantire il diritto costituzionale all'educazione, intesa come pieno sviluppo delle capacità di bambini e adolescenti.
Forse quello che manca è una sana educazione al Merito, che è anzitutto un'educazione di civiltà.
01 gennaio 2023