Puntare sul futuro dell’industria per garantirci un domani sicuro
L’Italia è il secondo produttore europeo con oltre il 38% dei lavoratori dipendenti italiani
Daniele Damele
Presidente Federmanager Friuli Venezia Giulia e Segretario CIDA FVG
La manovra del bilancio statale 2025 è ormai nota nel suo articolato. Dalla lettura emergono delle richieste che chi opera a favore del settore industriale non può sottacere, in primis la necessaria strutturalità del cuneo fiscale legato alla tutela delle detrazioni per permettere maggiori poteri di spesa e, poi, gli interventi sulla casa in quanto serve garantire abitazioni a costi sostenibili. C’è la necessità, quindi, che il tema della casa entri a tutto titolo nel welfare di lavoratori e dirigenti accanto a previdenza e sanità.
Vi è, però, un altro tema legato al futuro dell’industria ed è quello del nuovo Piano Transizione 5.0, il programma di 13 miliardi di euro nel biennio 2024-2025 a favore della transizione digitale e green delle imprese italiane che ben difficilmente potrà essere realizzato in 14 mesi.
È una misura fondamentale per le imprese industriali, ma vi è la necessità assoluta di semplificarla perché le imprese private industriali non riusciranno a rispettare le regole burocratiche e i tempi chiesti dall’Europa.
Il timore è, infatti, di non fare in tempo in quanto la misura è destinata alle aziende che effettuano nuovi investimenti fino a fine 2025. Ma il vincolo temporale per chiudere l’investimento è troppo stretto. Non si riesce in 14 mesi nemmeno a ottenere, ad esempio, la consegna di macchinari perché gli ordini possono arrivare anche dopo un anno e mezzo. Basta uno slittamento e non si rientra nei conti.
Transizione 5.0 è poco comprensibile per i tempi stretti riferiti alla presentazione di tutta la documentazione necessaria per accedere ai finanziamenti in quanto i decreti attuativi sono stati fatti troppo tardi (dal decreto legge di marzo solo tra luglio e settembre sono stati pubblicati i relativi decreti attuativi). E servono troppi passaggi burocratici tra Ministero, Gse e Agenzie delle Entrate. Come accennato resta solo poco più di un anno a disposizione.
La situazione è, pertanto, complessa specie per le centinaia di PMI del Nordest. Il governo è riuscito a garantire le esigenze di digitalizzazione delle imprese, ma ora vi è una forte difficoltà nella gestione dei progetti e nel controllo di quegli aspetti legali che saranno sotto la lente dell’Agenzia delle Entrate.
Occorre rivedere i tempi del Piano perché la pubblicazione dei decreti per Transizione 5.0 non ha dato la spinta attesa agli investimenti mentre i ritardi accumulati hanno alimentato l’incertezza rispetto alle modalità di accesso all’agevolazione. Tutto questo, unito ad un contesto poco definito, mantiene bassa la fiducia delle imprese che restano estremamente caute nelle previsioni.
Gli interventi, come detto, vanno completati entro il 2025 e rendicontati entro i primi mesi del 2026, tempi che impongono la richiesta di una proroga che dovrà essere concessa dalla Commissione europea la quale dovrebbe anche semplificare la burocrazia prevista. Transizione 5.0 ha questi limiti, ma anche delle grandi opportunità per le imprese. La Commissione europea richiede fortemente di ridurre i consumi energetici, ma ciò va fatto con tempi non così ravvicinati con buona pace di tutti.
All’interno di Transizione 5.0 c’è un importante 10% di credito d’imposta riservato alla formazione. È compreso nel sistema incentivante, con una soglia di 300 mila euro per la formazione legata a nuovi macchinari e a software. È un aspetto rilevante per le imprese, i dirigenti e i lavoratori che, uniti, possono pensare al futuro dell’industria per garantirci un domani basato su un generale operoso benessere, ovvero su una prosperità meritata e guadagnata sul campo.
28 ottobre 2024