Il coraggio del ripensamento

Nella mozione della Commissione Sindacale di Milano anche il salario al centro del rinnovo contrattuale

Commissione Sindacale e Lavoro ALDAI

Giovedì 6 settembre il Consiglio ALDAI ha avuto come graditi ospiti il presidente federale Cuzzilla ed il direttore generale Cardoni. 
Li avevamo invitati nella convinzione che il triennale lavoro della Commissione Sindacale ALDAI, materializzatosi in una mozione sul rinnovo contrattuale che poi il Consiglio ALDAI ha approvato quasi all’unanimità (con due soli astenuti), dovesse trovare formale attenzione ed ascolto da parte dei vertici federali.
Questo derivava dalla nostra opinione secondo la quale sinora il processo di elaborazione strategica della commissione nazionale era stato caratterizzato dal solito schema liturgico legato a vecchi canoni, alle solite persone e da un approccio che è eufemistico definire morbido e riduttivo. 
Siamo anche convinti che il ritardo nel rinnovo totale della delegazione negoziale, anche se corretto da un punto di vista puramente statutario, non sia più tollerabile perché confligge con i tempi della trattativa.
Per questo motivo Milano ha voluto mettere per così dire “i puntini sulle i”.
Con l’esposizione della nostra mozione abbiamo toccato tutti i principali temi oggetto del rinnovo, a partire dall’adeguamento salariale, per passare a diversi istituti, quali ruolo formale della dirigenza, ferie e trasferte, cogenza del salario variabile, difesa degli enti di welfare, ricollocazione dei dirigenti in uscita dal posto di lavoro. 
Il Consiglio di Milano, unitariamente, si è espresso in modo chiaro, ben in anticipo sui tempi dell’avvio negoziale.
Siamo convinti che il presidente abbia recepito le nostre preoccupazioni e che voglia tenerne conto quando giungerà il momento della trattativa, ma è risultato essenziale che a Milano il cambio di passo fosse voluto e condiviso da tutti.
In generale, a livello di stampa internazionale, è ormai evidente che in certe nazioni (Spagna ed Italia, ad esempio) la ripresa è frenata da una insufficiente dinamica salariale. Per dirla come l’economista Giulio Sapelli “è ora di muovere i salari verso l’alto”. Questo è particolarmente vero anche per la nostra categoria: trascurando eccezioni poco rappresentative, la maggior parte dei colleghi ha pesantemente perso reddito negli ultimi quindici anni.
Così, dopo che a lungo, certamente con giudizioso senso di responsabilità, ma anche con un approccio da “pensiero unico”, si è accettata da parte dei dirigenti la richiesta confindustriale di dimenticare il salario, adesso è ora di cambiare strada.
Di recente Federmanger ha sviluppato un’indagine sul rinnovo contrattuale tra i colleghi in servizio per cogliere le esigenze prevalenti. Ne è venuto fuori che al primo posto la dirigenza attiva considera, dopo quindici anni di rinnovi “a zero salario”, come prioritario un adeguamento retributivo. Certo, come giusto, i colleghi sono anche interessati agli istituti del welfare (Fasi e Assidai) e si preoccupano della precarietà lavorativa, specie negli anni critici prima della pensione. Di sicuro, sono meno interessati ai timbri delle certificazioni, e a certi enti ed entucoli della galassia federale e ai relativi seggi, che tanto impegnano quelli tra noi che sono più operativi nella federazione. Ma sui quali, non scherziamo proprio, non si può fondare un rinnovo contrattuale: anche di questo parlava la mozione della Commissione Sindacale.
Federmanager è essenzialmente un sindacato, non dimentichiamolo: suo compito essenziale non può che essere la negoziazione. Riportare almeno la base essenziale della retribuzione sotto la tutela del contratto è dunque una necessaria operazione in favore dei colleghi meno in posizione di tutelarsi individualmente.  
A molti di noi è capitato, nella vita aziendale, di percorrere fasi in cui per le ragioni più disparate non eravamo “sulla cresta dell’onda”. Quelli sono i momenti in cui serve il contratto: per la cronaca, certi spiritosini che in consiglio nazionale per anni hanno sostenuto di “difendersi da soli”, a volte li ritroviamo poi, persa la dirigenza, a vendere tappeti.
C’è da aggiungere che anche per i colleghi pensionati, così impegnati nella difesa di diritti che vengono spesso messi in discussione per pura demagogia, è essenziale che un contratto credibile e condiviso mantenga la sua centralità, perché coinvolge anche loro.
Inascoltati, nel corso dell’anno da chi discettava di “più livelli dirigenziali e di contratto” di “dirigente junior” e di altre amenità, abbiamo tentato di proporre questa impostazione. Ora che i momenti cruciali si avvicinano, per evitare che i silenzi prevalgano sui chiarimenti, Milano, il principale “azionista federale”, parla con chiarezza alle altre organizzazioni territoriali, anche a quelle che da tempo immemore non hanno più né la commissione sindacale né a volte nemmeno grande interesse alla materia, e che non potranno accettare di firmare qualsiasi contratto contro il nostro parere.
Infine, “repetita juvant”, un tema essenziale che tutti sembrano trascurare: una delegazione negoziale rinnovata, determinata e convinta, deve andare alla trattativa con il supporto di numeri certi sull’impatto dei vari aspetti contrattuali, con un lavoro serio di quantificazione dei temi in discussione perché, ove al contrario si accettasse un approccio puramente ideologico alle varie questioni, avremmo già perso in partenza, possiamo esserne sicuri.

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