Dal 1912 quanta energia da quella prima turbina…
Dirigenti e professionisti di valore, animati dalla passione per il progresso e le tecnologie, hanno colto le sfide internazionali per affermare il Made in Italy industriale, assumendosi responsabilità e rischi personali per il successo dell'impresa e il bene della collettività. Oggi il Gruppo Ansaldo Energia è un protagonista internazionale nel campo della generazione elettrica, un player in grado di fornire all’industria un modello integrato, dagli impianti chiavi in mano, ai componenti (turbine a gas, turbine a vapore, generatori, microturbine), al service a supporto, fino ad attività in campo nucleare.
Giuseppe Zampini
Presidente Ansaldo Energia
Fondata nel 1853 a Genova, la storia dell’Ansaldo affonda le sue radici nell’energia: nel 1912 viene prodotta la prima turbina a vapore e nel 1923 viene realizzato il primo impianto di generazione elettrica. Ansaldo si sviluppa poi nell’industria meccanica ed elettrica puntando su innovazione e tecnologia come punti di forza, prendendo l’attuale nome di Ansaldo Energia nel 1991.
La storia che voglio raccontare comincia nel 1998, anno molto difficile. Appena arrivato in Ansaldo Energia, da altre realtà del gruppo, come Direttore Generale e con l’azionista di allora che stava valutando addirittura la chiusura della società.
Nel 1998 erano circa 1.000 miliardi di lire il valore della perdita: non avevamo soldi, non potevamo pagare gli stipendi.
Qualcuno mi disse: “non paghiamo gli stipendi ma non chiediamo prestiti in banca perché non abbiamo capacità di credito”. Mi opposi perché questo sarebbe stato distruttivo. Concordammo con i fornitori dilazioni di pagamento e sconti a fronte di un impegno di rientro e di crescita.
Quell’anno la società aveva 8.000 persone. Nel 2003 circa 2.300; nel 2007 circa 2.800 persone. Oggi i dipendenti del Gruppo Ansaldo Energia sono 4.400, di cui 3.000 in Italia.
Ma perché la crisi? In quegli anni ante 1998 in Ansaldo Energia, ma non solo, non si facevano ancora approfondite analisi dei rischi, la ricerca dei volumi prevaleva sull’attenzione alla redditività.
Scarsa considerazione veniva data ai rischi effettivi delle acquisizioni dei contratti: rischio Paese, rischio cliente, capacità dell’azienda di gestire il contratto in quella situazione. Ottenemmo grossi contratti. Un contratto in particolare, che cito spesso perché esemplificativo, di 400 miliardi di lire, il cui valore per Ansaldo Energia era di 50 miliardi di lire. Tutto il resto era fatto da appaltatori, alcuni dei quali – con nomi anche altisonanti nel mercato dell’economia nazionale – fallirono. Noi dovemmo entrare per cercare di completare i contratti. Perdemmo qualcosa come l’80% del valore della commessa.
Dovevamo identificare una opportunità e le opportunità migliori non erano all’estero ma dalla privatizzazione del mercato italiano.
Era il momento delle decisioni. Regolammo l’andamento produttivo dell’azienda che allora era piuttosto scarso. Noi seguivamo il mercato. Non facevamo un prodotto standard, ma il prodotto seguiva le esigenze dei clienti. Abbiamo quindi tarato la nostra capacità produttiva. Abbiamo alienato le attività che non consideravamo più core business e, al termine di questa fase, ci siamo basati su quattro "gambe" equilibrate dell’azienda: la capacità di fare impianti; la produzione di macchine; la manutenzione degli impianti e delle macchine e il nucleare.
Implementata la strategia di consolidamento e di riprogettazione dei processi chiave, abbiamo ripreso a crescere. Questa crescita è merito non solo di Zampini, ma anche dell'organico di alto livello professionale di Ansaldo Energia che aspettava solo una motivazione per ripartire.
E poi le licenze, che sembravano dare sicurezza, ma in realtà uccidevano la capacità e l’ingegno. Il vero cambio culturale della società è avvenuto quando nel 2001 prima, e nel 2005 poi, fu deciso di chiudere tutte le licenze esistenti, rendendoci tecnologicamente indipendenti. Abbiamo riscoperto il piacere di fare e il legame con il prodotto e con il business.
Ciò che ha consentito il riavvio della produzione standard è stato un contratto internazionale con l'Iran, che era un Paese considerato a rischio, per la fornitura di 30 turbine a gas. Proprio durante il suo Ministero al Tesoro, Ciampi ci supportò nel 1999 in questo contratto. Contratto che impauriva i vertici aziendali di allora e che durante la fase finale, poco prima della firma, erano uniti nel suggerirmi di non firmare. Il cellulare squillava spesso; lo chiusi per non sentirlo e firmai. Sì, si può quasi dire che fu un cellulare a cambiare la nostra storia: era il 7 luglio 2000.
Abbiamo accettato la sfida della crescita e dell’internazionalizzazione decidendo di continuare a produrre a Genova.
Abbiamo deciso di investire in fabbrica a Genova: non solo per la capacità riconosciuta del personale, ma perché ritenevo e ritengo che un’azienda possa diventare internazionale solo se ha una capacità autonoma sul mercato domestico. Essere internazionali alcune volte non è soltanto un fattore di successo, può essere una conseguenza del successo. Noi ci siamo concentrati sullo sviluppo tecnologico.
Abbiamo ricercato un posizionamento competitivo che ci consentisse di sopravvivere e abbiamo creato questa forte integrazione con il territorio ligure. Da qui, tra il 2008 e il 2013, abbiamo lavorato nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, affrontando la cosiddetta “primavera araba”: nonostante i complessi contesti geopolitici di ogni singolo Stato, abbiamo sempre consegnato le nostre macchine e i nostri impianti nel tempi contrattualmente previsti.
Ho sempre definito “strategica” Ansaldo Energia per il Paese, proprio perché prendeva lavoro all’estero e lo portava in Italia. Sono anni che l’Italia nel nostro settore è ferma, a parte qualche attività nel settore del service. Ma l’indotto nel Paese continua a rimanere importante. Negli ultimi anni ho cercato di difendere l’azienda dalla vendita del suo 100% a gruppi stranieri.
Questo non per una difesa dell’italianità fine a se stessa, ma perché credevo nella capacità delle donne e degli uomini di Ansaldo Energia di poter stare sul mercato. Dopo una prima cessione di quote (45%) a un Private Equity americano, a fine 2013 Ansaldo Energia è uscita dal Gruppo Finmeccanica per essere acquisita dal Fondo Strategico Italiano di Cassa Depositi e Prestiti. L’azienda in quel momento contava 3.400 dipendenti (di cui circa 3.000 in Italia) ed era, per usare le parole dell’azionista, “il capo-filiera della meccanica a valore aggiunto per l’energia", settore in cui l’Italia presentava notevoli eccellenze di nicchia. Si stima che solo l’acquisto di componenti da fornitori italiani garantiva un’occupazione a 10.000 lavoratori nelle aziende dell’indotto. Inoltre, l’azienda, con le sue capacità di offrire a livello internazionale centrali termoelettriche chiavi in mano (EPC), si poneva a traino di importanti imprese italiane fornitrici di sottosistemi di centrale". Pur avendo la maggior parte degli ordinativi
all’estero, Ansaldo Energia convertiva questi ordinativi in lavoro che veniva svolto per la maggior parte in Italia, contribuendo quindi alla crescita dell’economia nazionale. Un processo virtuoso che deve poter essere conservato.
Di lì a poco, nel maggio 2014, Fondo Strategico Italiano e la dirigenza della società chiudono l’accordo per l’ingresso di Shanghai Electric nell’azionariato con una quota del 40%: un rarissimo caso in cui un gruppo cinese entra in una società con una quota non di controllo. La cerimonia di firma viene tenuta a battesimo dal Presidente del Consiglio e dai Vertici di Cassa Depositi e Prestiti, oltre che alla presenza delle Autorità cinesi.
Quando nel 2005 abbiamo chiuso qualsiasi rapporto di licenza e ci siamo resi tecnologicamente indipendenti ci davano per spacciati. Invece è proprio grazie a questo decennio di indipendenza tecnologica che siamo stati in grado di poter sfruttare l’opportunità venutasi a creare grazie all’antitrust europeo.
L’americana General Electric decise infatti di acquisire la francese Alstom Power. Per farlo la Commissione Europea ordinò agli americani di cedere le attività delle turbine a gas heavy duty ad Ansaldo Energia. Dopo una lunga trattativa, Ansaldo Energia ottenne un centro di ricerca a Baden, nel cantone dell’Argovia, in Svizzera, un laboratorio di test (collaudo) a Birr, una società specializzata nelle attività di service in Florida, PSM, per un totale di circa 800 nuovi colleghi. Durante le trattative dell’operazione “Alstom” il risultato di non aver voluto anche gli stabilimenti tedeschi, dove veniva prodotta la turbina a gas modello GT26 di Alstom, conferma la nostra “strategicità”: portiamo in Italia, insieme alla proprietà intellettuale delle turbine a gas, anche la produzione.
E sono lieto, dopo avere ricoperto per 16 anni il ruolo di Amministratore Delegato di Ansaldo Energia, di essere riuscito a tornare sul mare. Era da anni che chiedevo, inascoltato, un segnale da parte delle autorità. Dovevamo far uscire, smontate, le nostre macchine più grandi dalla sede di Genova per poi portarle in Toscana, a Massa Carrara, per fare l’assemblaggio finale e imbarcarle su nave: un'assurdità
per una società genovese. Questo meccanismo non sarebbe più stato possibile con le turbine ex Alstom, ancora più grandi.
A maggio2017 quindi termineremo la costruzione del capannone per l’assemblaggio finale e da lì, grazie all’accordo con Ilva e grazie alla possibilità di svolgere attività terminalistica, potremo imbarcarle
direttamente vicino al nostro capannone. Questo risultato è stato possibile grazie a tutte le autorità locali e nazionali, che si sono mosse coordinate e all’unisono, per dare le risposte alle richieste che la società chiedeva.
Visione chiara, management coeso e stabile, attenta valutazione di ogni singolo ordine (“prendere ordini è facile, prendere ordini buoni è difficile” amo ripetere), attenta gestione, amore per l’azienda, per il fare più che per il parlare, sono sicuramente tra gli ingredienti principali di questa bella storia industriale italiana, destinata ad avere ancora tante pagine da scrivere.
01 marzo 2017