Ho scelto l’estero invece dell’Italia…
Testimonianza di un socio ALDAI-Federmanager
Angelo Di Tata, classe 1965, dopo una laurea al Politecnico e 23 anni di esperienza lavorativa presso diverse società di una multinazionale italiana operante nel campo dell’Oil&Gas, decide di lasciare l’Italia volontariamente per andare all’estero.Chiara Tiraboschi
Giornalista
Responsabile Servizio Comunicazione e Marketing ALDAI
Marco Pepori
Consigliere ALDAI-Federmanager
Dal 2015 è Direttore della Funzione Supply Chain di una società con sede legale a Londra e sede operativa negli Emirati Arabi Uniti, leader nel settore dell’Oil&Gas per la fornitura di servizi integrati per la realizzazione di impianti industriali principalmente nel Medio Oriente. 14.000 dipendenti di 80 diverse nazionalità, 24 uffici nel mondo, 36 anni sul mercato globale: questa la presentazione della sua attuale azienda.
Una scelta quella di andare all’estero non legata a necessità o costrizioni, ma totalmente volontaristica e che offre quindi lo spunto per fornire qualche riflessione o semplicemente un diverso
punto di vista.
"Dirigenti Industria" ha raccolto la testimonianza del collega Di Tata, nell’ottica di condividere esperienze e proporre spunti di riflessione che siano utili e di interesse per i nostri manager.
La domanda che ancora oggi mi fanno in molti – introduce Di Tata – è:
Per quale motivo hai affrontato un cambiamento del genere a 50 anni da dirigente senior?
La risposta è molto semplice: non riuscivo più ad accettare un contesto operativo dove ormai la forma conta più della sostanza e quindi dentro di me è nata una grande voglia di creare una nuova
prospettiva che potesse pienamente rispondere alle mie aspirazioni professionali in una diversa condizione di mercato più dinamica e coinvolgente.
Nel settore dell’Oil&Gas il Medio Oriente è sempre stato il baricentro del business, l’area di concentrazione della maggior parte degli investimenti e quindi nella valutazione delle varie opportunità ho
deciso di accettare l’offerta di lavoro locale per assumere il ruolo di Supply Chain Management Director con sede di lavoro a Sharjah (EAU).
La scelta ovviamente non è stata facile.
Le implicazioni prese in considerazione sul piano lavorativo e personale sono state molteplici, ma alla fine ha prevalso il coraggio di accettare una grande sfida e così ho iniziato la mia nuova avventura
professionale da espatriato.
Quali sono le maggiori differenze con l’Italia, sia dal punto di vista professionale sia culturale?
Gli Emirati Arabi Uniti sono un Paese molto accogliente, per viverci da residente può certamente non piacere a tutti, ma a livello di servizi primari e secondari non manca nulla, neanche una certa dose di
italianità (oltre 10.000 espatriati iscritti all’AIRE di Dubai ed Abu Dhabi) quindi per la vita privata ci si adatta facilmente alla nuova realtà locale.
Dal punto di vista lavorativo invece l’impatto è stato notevole. Un impatto complessivamente positivo, legato sia al diverso modo di concepire il tipo di business, sia alla diversa capacità decisionale richiesta alle posizioni manageriali, sia all'estrema flessibilità del mercato del lavoro. Per capire meglio le differenze rispetto alla realtà aziendale italiana bisogna approfondire separatamente questi tre aspetti.
Tipo di business
Nella mia attuale società, come in tante altre fuori dall’Italia, si lavora con l’obiettivo prioritario di soddisfare al meglio il cliente interno, il project director, cioè colui che è l’unico responsabile di profitti e perdite del suo progetto, attraverso i servizi interni offerti dalle diverse funzioni aziendali. In altri termini, nella gerarchia operativa, il project director comanda in modo assoluto e le funzioni devono supportarlo al meglio delle loro possibilità. Un concetto noto (d’altra parte il project management deriva dalla rivisitazione della gestione operativa delle operazioni militari in tempo di guerra), magari rischioso a livello di company governance, ma che associato ad una burocrazia ridotta al minimo indispensabile, genera un’elevatissima efficacia operativa.
In questo quadro, anche il rapporto con il mercato dei fornitori e degli appaltatori(il cosiddetto “indotto”) è totalmente diverso rispetto a quello esistente in Italia(ne parlo in quanto parte fondamentale
del mio ruolo). Infatti si riconosce apertamente che il successo di un progetto passa necessariamente attraverso il supporto di fornitori e appaltatori che con la loro esperienza, con il loro know-how e con la loro disponibilità danno un contributo essenziale al raggiungimento degli obiettivi di un progetto, rappresentandone circa il 90% del costo complessivo. Questo significa che con fornitori e appaltatori si lavora a stretto contatto sin dalla fase di offerta, alimentando una relazione che va ben oltre quella del mero rapporto contrattuale e che permette alle società del settore di essere molto competitive e ben referenziate sul mercato.
Capacità decisionale
Le doti di managerialità individuale richieste da questo ambito operativo si possono declinare in una maggiore responsabilizzazione diretta con ampia autonomia decisionale ed una distinta capacità di leadership orientata al raggiungimento di obiettivi comuni. In altri termini si preferisce l’efficacia all’efficienza e si conta molto sul lavoro di squadra e sulla resilienza del project team ai picchi di lavoro.
Purtroppo oggi in Italia il ruolo del manager è spesso soggetto a vincoli di ogni tipo derivanti dalla burocrazia dilagante, dalle leggi sul mercato del lavoro e da obiettivi poco motivanti. Per un manager senior, dopo aver accumulato una certa esperienza sul campo, risulta particolarmente difficile poter esprimere il proprio potenziale o dimostrare le proprie capacità prendendo decisioni tempestive e assumendosi certe responsabilità.
Credo che questo sia un aspetto logorante del rapporto di lavoro manageriale, con inevitabili conseguenze negative a lungo termine per ogni società che trascuri il problema o che non prenda adeguate contromisure per tempo.
Mercato del lavoro
In merito alla flessibilità del mercato del lavoro, ho potuto rilevare la grande importanza che essa assume quando, nell’ambito delle responsabilità sopra descritte, si ha la necessità di costruire la propria squadra. Nella società dove lavoro tutti sanno, me compreso, che il rapporto lavorativo è legato al livello di prestazione che viene espresso sui progetti. Ogni anno il 100% delle risorse operative, dai livelli più bassi all’amministratore delegato, sono soggetti al cosiddetto “annual assessment”. Questo fatto non serve solo a compilare tabelle e scrivere relazioni sulle singole risorse per l’ufficio del personale a supporto delle relative gratificazioni monetarie, ma soprattutto a determinare il giusto mix di risorse per avere a disposizione sempre una squadra vincente.
Grazie per questa testimonianza. Può condividere alcune considerazioni finali in merito all’esperienza di manager all’estero?
In conclusione direi che il manager espatriato ha meno privilegi, più autonomia decisionale e molta più efficacia operativa. Inoltre, credo sia importante evidenziare che il background di un manager italiano senior ha un peso importante nel suo inserimento in una nuova Società all’estero, nel senso che la sua preparazione tecnico/manageriale è generalmente apprezzata e riconosciuta anche a livello internazionale.
Questo da una parte ci fa onore, dall’altra ci lascia perplessi: per quale motivo non riusciamo nel nostro Paese a valorizzare questo potenziale sul capitale umano?
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti dell’effetto della globalizzazione dei mercati e che quindi sia inevitabile, altri che sia la conseguenza della debolezza dell’economia e della politica italiana e della mancanza di strategie a medio lungo termine. Difficile rispondere a questa domanda. Ma la chiara impressione che ho ricavato da questi primi 18 mesi di lavoro da espatriato è che la figura del manager italiano all’estero sia in ogni caso di alto livello perché riesce a combinare un’ottima preparazione di base alla possibilità di mettere in pratica tutto il suo potenziale in un contesto operativo che premia l’iniziativa, l’efficacia e il risultato.
E alla seconda domanda che tutti mi fanno:
…e col senno di poi lo rifaresti?
Rispondo: Certamente sì… magari anche prima!
01 marzo 2017