Manager o semplice esecutore? Il dirigente moderno come motore del cambiamento aziendale

Dall’obbedienza alla visione strategica: come è cambiato il ruolo del dirigente nell’impresa contemporanea

Avv. Stefano Trifirò

Trifirò & Partners Avvocati
C'è stato un tempo in cui il dirigente d’azienda era, sostanzialmente, un esecutore d’ordine di alto livello. Riceveva indicazioni, le trasmetteva ai livelli inferiori, ne controllava l’attuazione, e la sua autorevolezza derivava più dalla gerarchia che dalla visione. 
Oggi, quel modello è superato. 
Nell’impresa del XXI secolo – dinamica, interconnessa, orientata all’innovazione – il dirigente non è più solo un filtro tra proprietà e base operativa: è un attore strategico, chiamato a ideare, orientare, anticipare. In una parola, a guidare. Il dirigente non esegue soltanto: pensa, progetta, influenza.

L’evoluzione organizzativa delle imprese – soprattutto dopo l’irruzione del digitale, dello smart working, della responsabilità sociale d’impresa – ha imposto una trasformazione sostanziale della funzione dirigenziale. 
Il manager oggi deve produrre valore, e non semplicemente riprodurre ordini. Questo significa avere una visione propria, proporre nuove politiche, incidere sulle scelte aziendali attraverso l’analisi, la capacità decisionale, la gestione del rischio.
Il dirigente moderno è quindi un propulsore di cambiamento, spesso l’anello tra l’innovazione e la sua attuazione concreta. Non si limita a dire “sì”, ma ha il dovere di dire “no” quando serve, di sollevare obiezioni, di immaginare scenari alternativi.

L’art. 2104 Cod. Civ. e la diligenza “qualificata”: il diritto guarda avanti

Anche il diritto del lavoro, che tradizionalmente inquadra il dirigente nel rapporto di fiducia con l’imprenditore, ha recepito questa evoluzione. L’art. 2104 del Codice Civile, che impone al lavoratore il dovere di diligenza, assume per il dirigente una valenza “rafforzata”: non si tratta solo di eseguire correttamente le mansioni, ma di assumere responsabilità di iniziativa, prevenire criticità, governare processi complessi.

La giurisprudenza lo ha chiarito con nettezza: la diligenza dirigenziale non si esaurisce nell’obbedienza formale, ma si sostanzia in autonomia propositiva, controllo attivo, capacità di sintesi e indirizzo. Un dirigente che non segnali irregolarità, che non eserciti un’efficace vigilanza, o che non avanzi proposte migliorative può essere ritenuto inadempiente, anche in assenza di colpa grave.

Le imprese che innovano premiano il pensiero, non solo la fedeltà

Sempre più aziende – specie nei settori ad alta competitività – riconoscono che l’obbedienza cieca è un costo, non un valore. Premiano chi anticipa i problemi, chi mette in discussione le abitudini, chi ha il coraggio di innovare. I dirigenti sono chiamati a essere “policy maker interni”, cioè a contribuire alla definizione delle regole, dei modelli organizzativi, degli standard etici ed economici.
Questo richiede formazione continua, capacità di leggere i dati, empatia nella gestione delle risorse umane e visione sistemica. Il manager che si limita ad “applicare ordini” rischia di diventare un collo di bottiglia; quello che progetta, costruisce e dialoga, è invece il motore di competitività dell’intera impresa.

In conclusione: il dirigente è oggi più leader che funzionario.

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