Smart Working: una crisi da trasformare in opportunità

L'adozione massiva dello Smart Working da parte delle aziende sta mettendo in evidenza alcuni fenomeni rassicuranti, un certo numero di domande inquietanti e, infine, qualche affascinante opportunità

Roberto Ravagnani

Partner Key2people - rravagnani@key2people.com
Tra i primi, va senz’altro citata la grande capacità di reazione delle aziende italiane: al di là dei luoghi comuni sulla capacità nazionale di dare il meglio di sé proprio nei momenti di difficoltà, è un dato innegabile che la maggior parte delle aziende, e in misura minore anche della PA, ha dato una prova di (insospettata?) agilità quando in pochi giorni è riuscita a mettere centinaia, migliaia o decine di migliaia di persone in grado di lavorare da remoto nello spazio di pochi giorni. Una performance da ammirare, senza mezze parole.
Inoltre, è ormai un dato acquisito che il livello di performance individuale delle persone – e delle aziende – non ha risentito in modo particolare del lavoro in remoto. I problemi delle aziende in questo momento drammatico sono altri: marginalità, liquidità, calo di fatturato, safety, ma non la produttività dei dipendenti, che in molti casi è addirittura cresciuta. Tanti manager a priori restii al lavoro a distanza hanno dovuto ricredersi e ammettere che i risultati sono superiori alle attese.

Infine, e non per importanza, gli stessi dipendenti sembrano tutto sommato soddisfatti di questa nuova apertura dei datori di lavoro verso una maggiore flessibilità, anche se molti cominciano a soffrire di questa prolungata remotizzazione e non vedono l’ora di tornare, almeno un po’, in ufficio.
Tutto bene dunque?  Non proprio.
Accanto a queste belle notizie che ci rendono un po’ meno pesante questa fase così ricca di preoccupazione, stanno emergendo anche dei fenomeni striscianti, tanto più pericolosi quanto sono meno misurabili e quindi invisibili. 
È quello che in Key2people chiamiamo “l’angolo cieco dello Smart Working”. 

Dal nostro punto di osservazione, tre sono le difficoltà su cui il lavoro a distanza sta mettendo a dura prova le nostre aziende:

Il livello di engagement dei dipendenti

La capacità di creare innovazione da parte dell’organizzazione

La difficoltà di gestire la meritocrazia e i carichi di lavoro a distanza
Vediamo brevemente cosa significano.

  1. Il livello di engagement dei dipendenti. Se è vero che tante persone sono contente di questa nuova flessibilità e non hanno fatto riscontrare, in media, un calo di performance, è anche sempre più evidente che la prolungata distanza dal luogo di lavoro e dai colleghi sta creando un pericolo di “sfilacciamento” nella relazione tra dipendente e azienda. Il lavoro sta diventando sempre più individuale e inevitabilmente un po’ dell’identificazione con l’organizzazione si perde per strada. Pensiamo anche a quanto sia difficile gestire i processi di “onboarding” dei nuovi assunti in questo contesto: tanti piccoli elementi della cultura organizzativa sono difficili da apprendere e trasmettere senza un’adeguata socializzazione.

  2. La capacità di creare innovazione da parte dell’organizzazione. La stessa mancanza di socializzazione può essere alla radice della progressiva perdita di velocità nell’introdurre innovazioni di prodotto e di processo. Non stiamo parlando solo delle innovazioni radicali, ma anche e forse soprattutto dei piccoli miglioramenti che non hanno bisogno di piani e programmi strutturati, ma che al contrario sgorgano in modo naturale e spesso tacito dall’interazione tra colleghi. Questi effetti di “combustione spontanea” alla base di tanti processi di innovazione rischiano di essere molto limitati se le persone si incontrano più raramente di persona, tanto alla macchinetta del caffè come in riunioni in presenza. L’innovazione, insomma, ha bisogno di una “banda larga” di comunicazione per essere innescata.

  3. La difficoltà di gestire la meritocrazia e i carichi di lavoro a distanza. Tanti manager ci stanno parlando della loro frustrazione nel non sapere come valutare correttamente le proprie persone: hanno l’impressione che alcuni stiano lavorando al limite delle loro possibilità e con un impegno ammirevole, mentre altri approfittano della lontananza per prendersela comoda e nascondere la propria inefficienza, ma non riescono ad avere parametri oggettivi per misurare e premiare (e punire) queste differenze. La conseguenza è una sensazione di perdita di controllo e di iniquità.
Visto che una volta finita la pandemia non è realistico che si torni a una presenza in ufficio uguale alla situazione pre-Covid, è probabile che queste tre patologie mettano a rischio la competitività dell’azienda nel medio periodo. È un tema di sostenibilità, insomma. Ma c’è un’altra faccia della medaglia: se ben gestite, le stesse dinamiche possono rappresentare una grande opportunità e la ragione di questa convinzione sta nelle risposte a queste patologie.

La gestione efficace dell’attuale situazione richiede infatti un deciso investimento nelle competenze manageriali e nei meccanismi organizzativi. La situazione contingente, in altri termini, sta spingendo le aziende e i manager stessi a fare un vero proprio salto in avanti in termini di modernità (in mancanza di un termine migliore) e questo è un bene. 

Prendiamo l’engagement: se mantenere riunioni ricorrenti, processi di comunicazione capillari, survey frequenti di clima, momenti di socialità con i propri collaboratori diventano delle pratiche ricorrenti e non più degli “optional” o delle iniziative lasciate al singolo manager, ebbene è molto probabile che il livello di motivazione delle squadre risulterà addirittura più elevato che prima della pandemia, perché ci sarà la percezione da parte dei dipendenti di un’autentica attenzione al loro benessere e al loro coinvolgimento.

Allo stesso modo, se vengono sviluppate delle competenze di digital collaboration o di design thinking come risposte alla difficoltà di innovare, è probabile che questi nuovi approcci e una generale maggiore attenzione manageriale creino un clima favorevole all’introduzione di soluzioni creative.

Infine, la necessità di introdurre delle metriche più oggettive di misurazione della performance così come una maggiore frequenza di assegnazione degli obiettivi e valutazione dei risultati possono aumentare la capacità dei manager di delegare ai propri collaboratori, e creare quindi uno stile di leadership maggiormente incentrato sulla fiducia e la responsabilizzazione.

In sintesi, le aziende devono porsi già oggi la domanda di quale equilibrio trovare tra lavoro in presenza e lavoro in remoto e pervenire a un modello sostenibile nel lungo periodo. I manager davvero più “smart” stanno approfittando di questa discontinuità epocale per introdurre cambiamenti culturali e organizzativi impensabili anche solo qualche mese fa e che possono seriamente contribuire a rendere la propria organizzazione più competitiva.
Come disse una volta Hillary Clinton, “never waste a good crisis”, ovvero mai lasciarsi scappare l’opportunità di sfruttare una buona crisi…

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