Una fiscalità equa: giustizia e crescita, ma per tutti

Il Governo si appresta a cambiare il fisco… ogni modifica deve essere improntata a equità e giustizia. Solo così potrà contribuire a sostenere lo sviluppo che serve al Paese

Lidano De Cesari

Socio ALDAI-Federmanager aderente al Gruppo Equità Fiscale
Nulla di nuovo, 100% giusta, generica e già sentita… quali siano le vere priorità merita però tutt’altro discorso… e tornando all’oggi…
Il 4 maggio è stato pubblicato il Decreto Lavoro (DM 4 maggio 2023); le misure principali prevedono una riduzione dell’imposta sui redditi di 7 punti per i redditi sino a 25.000 euro e di 6 punti per i redditi compresi tra 25.000 e 35.000 euro.
Questa “ricchezza” proviene dai due originali punti di riduzione previsti dal Governo Draghi, già fatti crescere di un ulteriore punto dal governo Meloni, e dalla decisione di utilizzare per questo obiettivo lo scostamento di bilancio arrivato in aprile (tradotto in un taglio di ulteriori 4 punti utilizzati però solo per la seconda parte dell’anno 2023); secondo il Governo si tratta di 4.064 milioni per il 2023 e di 992 milioni di euro per il 2024.

Il decreto contiene ulteriori misure di assistenza: tra queste va citato sicuramente l’ADI (Assegno di Inclusione per le famiglie in cui siano presenti disabili, minori od over 60) che, in pratica, ripropone una pensione di cittadinanza. 
È stato poi realizzato un incentivo alle assunzioni di giovani NEET under 30 (cioè giovani che non lavorano e non risultano inseriti in corsi di studi o di formazione, purché siano registrati al Programma operativo nazionale Occupazione Giovani).
Non ci sono particolari commenti da fare; queste misure si inseriscono in una tradizionale cultura di supporto alle fasce più deboli della popolazione e penso siano accettabili per tutti (speriamo solo che vengano ridotti al minimo i percettori indebiti…).

Anche lo sforzo finanziario è cresciuto: quattro miliardi non sono pochi, sono però pochi rispetto allo sforzo necessario a “scuotere” l’Italia e ad avviarla con continuità sulla strada di una crescita solida e continuativa. Abbiamo fatto progressi, ma manca ancora una chiara visione del futuro del Paese: non ci stancheremo mai di sottolineare come – principalmente – il nostro sia un problema di redditi, redditi di tutti, non solo di quelli delle classi più sfortunate; negli anni scorsi è stata spesso menzionata la necessità di una “scossa” da due punti di PIL per la necessità (rispetto ai nostri partner EU) di una crescita generalizzata dei redditi di tutti i cittadini (due punti di PIL sono quaranta miliardi, non quattro). Deve motivarci, in particolare,  la riduzione del nostro ruolo nell'economia mondiale: siamo ancora all'ottavo posto nel ranking per PIL, ma la previsione CEBR (Centre for Economics and Business Research) è negativa e allarmante, ci vede scendere verso il quindicesimo posto a metà del prossimo decennio.

E i temi lavoro e fisco sono assolutamente centrali a questa necessità: quanta politica fiscale facciamo per stimolare la crescita delle professionalità, per favorire più imprenditorialità, per rafforzare ulteriormente i nostri attuali punti di forza e difenderli in un mondo sempre più integrato e competitivo… e a proposito di fisco, cerchiamo di non dimenticare che, secondo i dati Eurostat, l’Italia occupa la settima posizione per pressione fiscale sul lavoro, la  ventunesima per pressione fiscale sul consumo e la quinta per pressione fiscale sul capitale (ovvia e desiderabile l’inversione tra  lavoro e consumi…).

Parliamo spesso di crescita ma, altrettanto spesso, dimentichiamo che la crescita, in una normale, matura Democrazia Sociale (quella del migliore posto per vivere al mondo: l’Europa) è crescita di tutti… mi piace qui utilizzare il termine ascensore sociale, per favore non limitiamolo ai più deboli… è indispensabile a chi deve crescere, ma anche a tutti gli altri: una società salubre è dinamica e aperta ai cambiamenti, cambiamenti nella continuità, ma cambiamenti ampi e reali.

Una parola frequente di questi tempi è inclusione… ma una società inclusiva non è solo assistenziale, è dinamica per definizione, non può permettersi di escludere energie preziose, energie – magari – diverse e portatrici di nuovo potenziale, ma anche energie mature se ancora dotate di competenze aggiornate ed efficaci (question: chi tiene in piedi il manufatturiero italiano?).  

A volte, la nostra politica si autoconfina invece nell’esistente, si crogiola nella mediocrità e perde coraggio: parliamo ad esempio di lavoro femminile (candidato numero uno per la crescita economica e non solo). Ma è così difficile pensare a misure come il dimezzare l’IRPEF per tre anni sulle nuove assunzioni? È complicato pensare di utilizzare maggiormente la fiscalità per la crescita e la riqualificazione professionale (attraverso detrazioni/deduzioni)? 

Pensiamo al nostro lavoro di manager, a come è cambiato negli ultimi vent’anni (fatto che ci farà pensare immediatamente a quanto era cambiato nei vent’anni precedenti) e a come ci obbliga ad accettare un futuro dato di fatto: sarà così anche nei prossimi venti e, per forza di cose, finanziare nuovo lavoro, aggiornamento e riqualificazione sarà fattore chiave per la sopravvivenza delle nostre strutture produttive.
Torniamo ora al Fisco e alla necessità di una fiscalità più coraggiosa. Da svariati anni si è diffusa la (ingenua, secondo me) ipotesi “giù il cuneo” realizzando poi – al massimo – una limitata riduzione dell’imposta sui redditi, per forza di cose ristretta ai redditi più bassi.

Nel nostro caso può invece essere d’aiuto capire anche cosa non si può assolutamente fare: proviamo a verificare la “praticabilità” di possibili misure di riduzione del cuneo, partendo dai tre componenti principali del Cuneo Fiscale e Previdenziale:
  • i contributi INPS – non scherziamo, il sistema previdenziale è fondamentale per l’esistenza del Paese, resiste ma è in bilico (e paga più pensioni integrate che pensioni “normali”); abbiamo 23,2 milioni di occupati di cui 15,12 milioni a tempo indeterminato, 3,08 milioni a tempo determinato (con redditi e contribuzione spesso infimi) e 4,96 milioni di autonomi (Fonte Istat, novembre 2022). Sono numeri preoccupanti che minano l’equilibrio finanziario dell’INPS e rendono vera priorità del Paese la creazione di nuovo lavoro.
  • IRAP – spesso proposto per una cancellazione (a mio parere cosmetica), di fatto l’80% dell’IRAP finanzia la spesa sanitaria: esiste qualcuno così coraggioso o avventato da proporne una riduzione?
  • IRPEF – piaccia o no, qualcosa si può fare; il gettito è già importante (200 miliardi), eventuali misure  godono di un’immediata ricaduta (ogni riduzione o facilitazione dà istantanea liquidità) ed esiste un grande “tesoro imboscato” da evasione ed elusione, forse l’opportunità più grande per la nostra economia e per la nostra giustizia sociale: il compito è duro, ma non possiamo evitarlo, e ci deve incoraggiare il fatto che intervenire sull’IRPEF dà sollievo, in particolare, a redditi medi e medio-bassi… quindi a lavoratori della conoscenza, a professionalità spesso elevate ma poco premiate nel nostro Paese, a pensionati già penalizzati da contribuzione molto elevata.

E tra le priorità non va dimenticata l’IMU (Evasione/Tax Gap superiore al 20%), da qualcuno attribuita ai numerosi capannoni vuoti delle zone industriali (con proprietà fallita); l’IMU è invero legata soprattutto al disallineamento tra dati catastali e dati comunali. Ben venga quindi il ritorno del tema della riforma del catasto (vedi PNRR) e, pur comprendendo le probabili difficoltà ad affrontarlo da parte dell’attuale Governo, non possiamo fare a meno di sottolineare come l’alleggerimento su lavoro e pensioni (doveroso ed indispensabile) sia strettamente legato al recupero di gettito da evasione ed elusione… stiamo perdendo tensione su NEXTGEN/EU e PNRR?



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