Il caso AstraZeneca e il valore della Farmacovigilanza

È da qualche mese che sono arrivati i vaccini anti-Covid-19 e già sorgono tanti interrogativi

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Arturo Donetti

Socio ALDAI-Federmanager, Membro Progetto Prevenzione ALDAI
Come riportato in un precedente articolo su questa Rivista, lo sviluppo di questi vaccini è stato estremamente veloce e la loro approvazione da parte degli organi regolatori è stata su base condizionale, un’autorizzazione prevista in situazioni emergenziali di salute pubblica.

Questa autorizzazione richiede un’inequivocabile dimostrazione di un rapporto positivo beneficio-rischio con l’impegno da parte delle Aziende di fornire ulteriori dati entro date ben precise. E qui entra in gioco l’istituto della Farmacovigilanza. 

In Italia, l’ AIFA promuove una rete nazionale di Farmacovigilanza che ha il compito di raccogliere da organi preposti, ma anche da singoli cittadini, le segnalazione di reazioni avverse ai farmaci. È quella che dagli addetti ai lavori viene chiamata la Fase 4, che segue le tre fasi cliniche necessarie ad ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio.

È chiaro che passando dalle migliaia di individui dei trials clinici a cui è stato somministrato il vaccino, ai milioni della realtà della pratica vaccinale sulle popolazioni, emergono casi anche rarissimi non evidenziati dai trials stessi. È una questione di semplice statistica facilmente intuibile. Per questi casi si tratta di valutarne frequenza, gravità, e soprattutto il nesso causa effetto. I più comuni, che molti di noi che hanno fatto il vaccino hanno sperimentato (dolore al sito di iniezione, senso di affaticamento, mal di testa, febbre) si danno per scontati. Altri, come quelli riportati per il vaccino Astra Zeneca, quali le trombosi venose profonde o le ancor più rare trombosi venose cerebrali (niente a che vedere con ictus e infarti che sono eventi arteriosi), esigono un’analisi più approfondita per verificarne il nesso di causalità. E, nel caso, se questi effetti avvengano in particolari situazioni come età, presenza di particolari patologie, o assunzione concomitante di altri farmaci. Casi che vengono raccolti dalle autorità di Farmacovigilanza.

Bene ha fatto EMA, e così pure AIFA, ad interrompere per precauzione la somministrazione di questo vaccino, per potere indagare su questi eventi avversi.

L’ EMA ha concluso che è possibile un nesso tra il vaccino di Astra Zeneca (Vaxzevria è il nome commerciale approvato da EMA ) e questi casi di trombosi soprattutto in donne sotto i 60 anni, casi rarissimi (86 casi di cui 19 fatali a fronte di 20 milioni di vaccinati) e ha lasciato le autorità nazionali, in Italia AIFA, libere di scegliere eventuali restrizioni. In Italia, l’uso di questo vaccino è consigliato preferenzialmente sopra i 60 anni. Nessun pericolo per la seconda vaccinazione con lo stesso vaccino o con un altro con diverso meccanismo, esempio a RNA.

Fiducia quindi nella scienza che ci ha fornito questi presidi essenziali in un tempo così breve e, soprattutto nelle Agenzie che presiedono alla Farmacovigilanza. Sicuramente questi fatti hanno creato un certo sconcerto nella popolazione. Forse, sarebbe stata opportuna una comunicazione più organica e più trasparente. Ricordiamoci però, a conclusione, che tutti i farmaci hanno fattori di rischio.
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